Skip to content Skip to footer

Vorrei ma non posso

di fra Sergio Lorenzini

Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (Gv 3,4). È la domanda che l’illustre anziano Nicodemo porta sulle labbra, mentre di notte si reca dal rabbi Gesù. Nell’interrogativo del capo dei Giudei si miscelano due elementi che battagliano dentro di lui: il desiderio di una vita nuova e l’incapacità di raggiungerla. Se pensiamo a noi, non siamo poi così lontani dalla condizione di questo affascinante personaggio del vangelo di Giovanni. Quante volte nel nostro intimo si agita l’attesa tormentata di una novità che porti luce nuova alla vita, l’anelito a qualcosa di sconosciuto eppure desiderato: si concretizza talvolta come la speranza di una svolta delle situazioni esteriori; in altri casi diventa ricerca di un pensiero che rischiari e acquieti l’esistenza; ma più spesso è l’auspicio di incontrare un volto che dia senso e pienezza alla vita. È, in fondo, l’anelito a una rinascita, e sorge non solo quando le contrarietà piombano sulla vita con il loro carico di pesantezza e di scoraggiamento, ma anche quando ci impantaniamo nel grigiore ripetitivo della quotidianità, senza trovare un gusto e un senso alle solite azioni di ogni giorno.
Nicodemo non si rassegna alla disillusione; per questo, anche se a tentoni, cammina. Cerca, si apre, domanda. C’è una nostalgia che lo inquieta e lo muove: guai a non darle ascolto! Al suo orecchio assetato, Gesù darà da bere un’acqua che egli non conosce: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Cioè? Rinascere non avviene dal basso, ma dall’alto; non è un decollo degli sforzi umani, ma un atterraggio della grazia di Dio. A ben pensarci, è cosa elementare: come nella dimensione biologica la vita non ce la diamo ma la riceviamo, così accade anche nella fede; c’è un grembo divino che ci partorisce, è l’acqua che è lo Spirito Santo in cui nasciamo come figli del Padre celeste. Per questo, nel Vangelo l’atteggiamento suggerito è farsi «piccolo come un bambino» perché «costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4). Il regno di Dio si accoglie, non si guadagna. Il bambino sa che tutto riceve, l’adulto pensa di meritarlo: l’umiltà da una parte, l’autosufficienza dall’altra, quest’ultima non a caso detta da S. Giovanni «la superbia della vita» (1 Gv 2,16). Piuttosto: a noi la ricerca, a Dio il dono; a Lui l’offrire, a noi l’accogliere.
Come bambini, allora, camminiamo verso la luce perché ci sia donato di rinascere a vita nuova. E se l’età avanza e qualche acciacco rallenta i nostri passi, ricordiamo che lo Spirito di Dio ringiovanisce l’uomo dal di dentro: «Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2 Cor 4,16).
Ci accadrà allora di fare esperienza di quello che diceva S. Serafino di Sarov: «Lo Spirito Santo ricrea nella gioia tutto ciò che sfiora». Allora sì: l’anno che vivremo sarà veramente nuovo.