In tempi di crisi come quello che stiamo attraversando siamo obbligati a pensare il futuro e il nostro mondo in modo più solidale e meno competitivo. Anche l’economia, se concepita e vissuta mettendo al centro la persona piuttosto che il profitto, può diventare luogo di un nuovo vivere civile.
di fra Fabio Chiodi
Credo che ognuno di noi almeno una volta nella vita abbia pronunciato la frase: “è tutto un interesse economico”. Un’espressione che fa trasparire come il mondo, partendo dalle alte sfere fino alle nostre scelte quotidiane, sia soggiogato da un sistema economico iniquo che fa l’interesse di alcuni a discapito di altri. In effetti, secoli fa con le prime rivoluzioni industriali e la nascita dell’economia liberale si è formata una struttura economica che ad oggi si presenta come una gabbia che regola tutto. Eppure, tutto ciò è partito dall’idea che certi sistemi di calcolo avrebbero portato al benessere pubblico, dove tutti sarebbero stati felici; oggi, invece, ci si rende conto che una economia del genere, fondata sul calcolo del profitto individuale, non è riuscita a mantenere ciò che prometteva. I profitti ci sono senza dubbio, ma viviamo in un contesto in cui la metà delle ricchezze sono nelle tasche dell’uno per cento della popolazione mondiale. Tutti i nodi di questa menzogna sono venuti al pettine: l’aumento delle disuguaglianze, la disparità dei diritti, la grande crisi ambientale e il problema del cambiamento climatico, infine l’enorme calo della felicità pubblica. Ciò che per secoli abbiamo seguito – il profitto – alla fine ci ha resi malati, ingiusti, inquinati e soprattutto infelici. La cosa peggiore è che ci sentiamo incapaci, come se non potessimo fare nulla per tirarcene fuori. Eppure, proprio negli ultimi due decenni, a seguito delle visibili falle del sistema economico classico, sta riemergendo un altro approccio, elaborato nelle università italiane del XVIII secolo: è in questi tempi di crisi che prende senso parlare di economia civile.

Trovare una definizione a questo paradigma economico è molto difficile, perché più che una teoria specifica è una vera e propria visione del mondo e dell’uomo, che non è propria solo delle aziende, ma applicabile a tutte le forme di associazione tra persone.
Se per l’economia classica l’uomo è visto come l’homo oeconomicus, ossia l’uomo razionale, quello del calcolo, che usa le sue risorse per trovare il massimo vantaggio per sé stesso, per l’economia civile l’uomo è homo homini natura amicus, ossia l’uomo che per natura è amico di altri uomini; e così cambia tutta la riflessione. Il punto di partenza, infatti, è l’essere amici ed il processo economico ha come obiettivo quello di rafforzare questa amicizia. Più che i numeri, l’economia civile prende in considerazione le persone, portatori e depositari di un valore in sé. Ecco allora che il compito dell’economia civile non può essere il benessere materiale dell’individuo, ma la felicità collettiva, che si ottiene con il suo sviluppo integrale.
Quando si parla di sviluppo occorre prendere le distanze dal concetto di crescita tipico dell’economia classica: per crescita, infatti, si intende l’aumento delle risorse materiali. Concetto, però, che non è tipico dell’essere umano bensì dell’animale: questo ha bisogno di materia, di cibo, di forze. E noi aderendo a questo concetto abbiamo associato la nostra felicità alla crescita materiale, di denaro, di beni e di risorse, diventando in qualche modo animaleschi – altra concezione dell’economia classica – per cui l’uomo è “lupo per l’uomo”, ossia ognuno è predatore, per cui occorre difendersi e crescere per essere più forti, con il rischio di mettere l’altro in condizioni di fragilità. Se si vuole questo tipo di crescita, l’economia classica fornisce tutti gli strumenti per gonfiare il portafoglio ma, allo stesso tempo, distrugge l’ambiente e taglia le relazioni interpersonali.

Lo sviluppo, invece, è proprio dell’umano ed è collegato al concetto di libertà: etimologicamente “sviluppare” vuol dire “togliere i viluppi”, ossia i grovigli; rende proprio l’idea di liberarsi da qualcosa che imprigiona, che incatena: che sia la malattia, la fame, la povertà, la mancanza di diritti, ecc., sono catene dalle quali ci si libera per mezzo di tre dimensioni proprie dell’essere umano. Sicuramente la crescita materiale è una di queste, ma non è l’unica né la più importante, e deve avvenire compatibilmente con le altre due: quella socio-relazionale, nella quale si instaurano rapporti di fiducia e di reciprocità, e quella spirituale, non intesa solo come religiosa, ma anche culturale e formativa. Ecco perché lo sviluppo umano è uno sviluppo integrale, perché è attraverso la crescita armonica di queste tre dimensioni che si può avviare un processo di trasformazione della realtà in maniera sostenibile per tutti.
Per questo, il fine su cui si fonda tutta l’economia civile non può essere il capitale, ma il bene comune, il quale non ammette che si possa sostituire il benessere di qualcuno a discapito di un altro. Se nello sviluppo comune qualcuno resta indietro, l’intero bene è a zero. La visione del bene comune punta al bene di ogni singola persona, non della maggioranza e nemmeno di alcuni gruppi. Se una persona non partecipa dello sviluppo della comunità è un fallimento per tutti. L’economia civile è un sistema inclusivo, non selettivo.
Tra i caratteri di questa visione economica vorrei metterne in rilievo alcuni.
Innanzitutto, la reciprocità è una caratteristica fondante. Le azioni vengono sempre fatte in relazione con altri soggetti non perché ci sia un tornaconto personale, ma perché c’è un’aspettativa di bene collettivo. Questo vuol dire che io do qualcosa non per riaverlo con gli interessi, ma perché so che quello che offro produrrà del bene per tutti, quindi anche per me.

Poi c’è il valore dell’ambiente. La sostenibilità ambientale non è intesa solo come impatto sulla natura, che pure è importantissimo, ma anche sull’ambiente sociale, sulla comunità. Coloro che si approcciano a una visione civile scoprono il proprio ruolo all’interno della propria comunità e lavorano per lo sviluppo di questa. Un’azienda civile, ad esempio, non porta il bene soltanto per sé stessa e per i propri dipendenti, ma tutta la comunità partecipa del benessere dell’attività.
Infine, ma non per importanza, la generatività dei progetti: se l’economia classica, come si è visto, crea problemi per dare dei benefici a pochi, l’economia civile si concentra sui problemi della comunità per trovare soluzioni creative che vadano a beneficio di tutti. Molti imprenditori sono partiti dalle situazioni di crisi nel proprio territorio, siano esse di natura sociale, ambientale, sanitario, ecc. per generare nuove attività che hanno coinvolto la collettività e dato valore alle persone e ai luoghi.

Quanto ho descritto fin qui non è una forma di volontariato, tantomeno un sistema a perdere; ad oggi in molti luoghi si stanno affermando aziende con questa visione economica: aziende anche con fatturati importanti ma che, al posto di mettere come fine il capitale, utilizzano quest’ultimo per fare crescere il bene comune. Esiste oggi una scuola di economia civile, stanno nascendo cattedre nelle università e corsi alle superiori; lo stesso movimento di “Economy of Francesco” ci testimonia che si tratta di una realtà possibile.
A conclusione di tutto, quello che vorrei lasciare è la consapevolezza che, se vogliamo una trasformazione, non possiamo aspettare le aziende o le istituzioni: come in ogni cambiamento, è sempre la società che opera, quando le persone si mettono insieme. Se la società è civile, lo sarà anche l’economia; ma se è incivile, resterà tutto così. Noi possiamo iniziare, mettere del nostro ed utilizzare ciò che è in nostro potere. Possiamo cominciare ad informarci, conoscere quali siano le aziende che si stanno muovendo all’interno dell’economia civile e “votare col portafoglio”, ossia iniziare a scegliere prodotti e servizi che vengono dalle loro filiere. Possiamo anche promuovere e diffondere tra le altre persone l’idea che, di fronte a un sistema economico ingiusto, non c’è solo da rassegnarsi, ma esiste anche altro. Anche noi frati stiamo progettando delle attività da promuovere nelle scuole e nelle realtà giovanili per far conoscere questo approccio umano dell’economia. Non possiamo aspettare che i grandi si muovano; i grandi cambiamenti della storia sono partiti sempre dal piccolo: pensiamo a nostro Signore che, per instaurare il Regno di Dio, è partito da una mangiatoia! •