Il cristiano e la Chiesa tutta non si possono estraniare dagli ambiti vitali dell’uomo e dai suoi riferimenti culturali. L’esperienza professionale dell’autore – giornalista di TV2000 da più di vent’anni – offre uno spunto di riflessione sul ruolo dei media nell’evangelizzazione.
di Paolo Fucili
La storia, si dice spesso, non si fa mai coi ‘se’. Ma ‘se’ il teologo protestante svizzero Karl Barth (1886-1968) fosse ancora vivo, forse rilancerebbe – e aggiornerebbe pure – l’invito suo famoso ad evangelizzare con Bibbia e giornale – o magari uno smartphone – in mano.
Citazione non certo nuova in verità, tra dibattiti, saggi ed articoli sull’ostico tema “Chiesa e comunicazione”. Ostico, sì, oltre che ampio, specie ora che la comunicazione, forte di prodigiosi strumenti, è diventata tanto pervasiva quanto sfuggente, anarchica, labirintica. Tema cruciale, però, per una Chiesa che aspiri a nient’altro che a svolgere il proprio ruolo istituzionale, anziché altri di dubbia utilità: annunciare Gesù Cristo, il Vangelo, nella vita, nella realtà e nei linguaggi degli uomini di ogni tempo; in una parola, nella cultura dei popoli, di cui i mass media sono la voce.

Del resto era il 1971, quando san Paolo VI osservava amaro, nell’Evangelii nuntiandi, che “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre” (n. 20). E anche san Giovanni Paolo II, nel 1982, ammonì che “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” («Discorso ai partecipanti al Congresso Nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale», 16 gennaio 1982). Era l’alba di un avventuroso pontificato, di cui quel monito apparì a conti fatti il filo rosso; davvero Wojtyła ci ha insegnato a leggere tutta la realtà, il giornale, con gli occhi della fede, il Vangelo, e viceversa, senza pregiudizi e preclusioni, ma senza neppure complessi di inferiorità né sudditanze, da cattolici, verso la cultura secolarizzata odierna.
Infatti “il cristianesimo è aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà”, spiegò ancora Benedetto XVI nel 2006, al Convegno ecclesiale italiano di Verona; “i discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia”. Ma “l’opera di evangelizzazione”, aggiunse pure, “non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento…”.
Riflessioni maturate in un lungo arco temporale, dal Concilio Vaticano II ad inizio III millennio. E molte altre se ne potrebbero aggiungere, fino all’odierno pontificato di Francesco.
Intanto la dieta mediatica della gente si è arricchita e differenziata. Non più solo carta stampata. Radio e soprattutto TV son diventate il piatto forte del menù. Ma anch’esse poi hanno ceduto il passo ad internet e social network, dove la svolta epocale è che chiunque può realizzare ed immettere in un istante nell’etere un qualunque testo, immagine, audio o video. E la Chiesa, che da subito si gettò nell’agone della comunicazione pubblica (anche se oggi i confini con la quella privata son sempre più labili), da allora mai ha innestato la retromarcia.
Erano i lontani anni ’90, quando il sottoscritto, nella natìa Fano, si dedicò a ricerche storiche sulla stampa cattolica fanese tra fine ’800 ed inizio del fascismo, mentre il settimanale diocesano di Pesaro, Fano ed Urbino “Il nuovo amico” lo accolse come collaboratore. Nel 1999, nell’imminenza del Giubileo, entrò quindi a far parte della redazione dei TG di SAT2000, oggi TV2000, emittente della Conferenza Episcopale Italiana.

In sostanza da due decenni buoni, dice il mio curriculum, ho a che fare con la comunicazione cattolica e della Chiesa intesa come istituzione, parlando appunto di CEI. Non solo un mestiere, per come mi sforzo ogni giorno di intenderlo, ma quasi oserei dire una missione, come piccolo ‘ingranaggio’ di una macchina magari non altrettanto potente di altri, per mezzi, ma seconda a nessuno quanto a forza ed originalità delle idee.
A partire dalla nascita del quotidiano “Avvenire”, nell’ormai lontano ’68, la presenza della CEI nel panorama dell’informazione si è arricchita con gli anni di un’agenzia di stampa, SIR, l’emittente TV2000 e il circuito Radioinblu, appena ribattezzato Inblu2000 col recente debutto sul Digital Audio Broadcasting (DAB). Un così cospicuo impegno, per risorse impiegate, da parte della Chiesa italiana, non può certo essere estraneo né indifferente alla missione citata sopra. Se la Chiesa esiste per evangelizzare, a che scopo allora dovrebbe ingegnarsi per presidiare con proprie voci lo spazio della comunicazione mediatica?
La domanda, un secolo fa, neppure si poneva, a giudicare dall’ardore con cui – penso ai miei trascorsi di storico dilettante – anche in una periferica città delle Marche i cattolici si gettarono nell’impresa di fondare propri giornali, modesti magari nella fattura ma rigurgitanti di passione, soprattutto nel polemizzare aspramente, nello spirito del tempo, con la stampa avversa: liberali, socialisti, anarchici, eccetera.

Oggi i progressi della tecnologia del comunicare hanno dilatato pressoché all’infinito gli orizzonti geografici e culturali dell’impegno avvertito così impellente già dai nostri progenitori: da ristrette comunità cittadine a quel che si suole chiamare il “continente digitale”, ignoto alle mappe, dove pulsa però ogni istante un turbinio tale di idee e passioni che nessuno più nega ormai che siano anch’esse delle realtà.
“Puoi anche non occuparti di politica, ma la politica si occuperà comunque di te”. Adesso mi sfugge la paternità della citazione, forse neppure esatta, che però condensa bene gli umori degli anni ruggenti post ’68. Ora, sbollite tante di quelle passioni, proviamo a sostituire ‘politica’ con ‘comunicazione’, non per divagare, ma per riflettere sull’epoca in cui volenti o nolenti viviamo.
Oggi è la comunicazione mediatica, intendo dire, che più che mai forgia pensieri e schemi concettuali, indirizza opinioni, modella e diffonde stili di vita, anche di chi magari non guarda la TV né maneggia Facebook o Twitter (e tantomeno Instagram e TikTok, l’ultima moda), per motivi che in genere spaziano dal disinteresse all’anticonformismo, come estrema resistenza all’omologazione di massa che una comunicazione dagli strumenti così potenti veicola per forza con sé.
E la Chiesa? Guai a lei, suggeriscono san Paolo e anche un sano buon senso, se comunque non annunciasse il Vangelo anche oggi, in questi enigmatici ma affascinanti tempi, e anche lì, lungo le strade impalpabili dove si dipana senza sosta tanta vita. Dovrà misurarsi con una cultura che si è allegramente disfatta di tante credenze e pratiche della religiosità del passato. Ma chissà che qualche “seme del verbo” non sia germogliato anche lì. L’evangelizzazione, diceva appunto Benedetto XVI, è sempre accoglienza del giusto, vero e puro, ovunque esso sia, e purificazione di ciò che non lo è. Ma non è veramente tale se il Vangelo non contamina e anzi non diventa anch’esso mentalità e stile di vita, per parafrasare Giovanni Paolo II.

Quanto a definire giornali, TV e siti internet cattolici “strumenti” di evangelizzazione, sarà bene intendersi e magari distinguere tra l’evangelizzazione più esplicita e mirata (l’esperto perdoni la povertà dei termini) della pastorale e l’altra, implicita e propedeutica, che è l’opera che l’informazione cattolica può utilmente assolvere, avendo oltretutto facoltà di parlare a molta più gente di quella che va in chiesa domenica. Però ci vuole professionalità, come in qualsiasi altro campo, e apertura mentale per confrontarsi con la realtà tutta, illuminarla con la luce della fede e contribuire a formare coscienze libere e responsabili, capaci di accogliere come ragionevole anche un punto di vista cattolico, per decifrare il mondo in cui vivono.
La Bibbia da sola, insomma, non basta. Certo, il cristiano sa che quel libro contiene l’annuncio che dà senso alla vita e alla storia. Ma come convincere il disincantato e disorientato uomo di oggi, se sei estraneo alla sua esperienza di vita, che quell’annuncio lo riguarda e anzi è ciò a cui aspira anch’egli, senza saperlo? Né basta d’altro canto il giornale (o i media suoi eredi), se la Chiesa non vuol diventare, come papa Francesco paventa, una sorta di ONG che parla con sapienza mondana di argomenti tutti edificanti, ci mancherebbe, senza però sapore di eternità. •