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Sognando in grande


L’ecologia integrale proposta da Papa Francesco riguarda il bene complessivo della persona con le conseguenti esigenze di sostenibilità sociale e ambientale. Un obiettivo così globale richiede a sua volta un coinvolgimento di un più grande numero di forze e di esperienze.
di Gabriele Darpetti


Quando poco dopo l’Epifania fra Fabio Chiodi, dopo essersi consultato con fra Sergio Lorenzini, mi ha proposto di fare qualcosa insieme, mi si è allargato il cuore, perché da tempo sentivo l’esigenza di incontrare e collaborare con l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini delle Marche, di cui apprezzavo le attività in seguito alla lettura, da circa due anni, di questa rivista (Voce Francescana).
Ragionando insieme poi, ci è venuto naturale provare a coinvolgere diverse tipologie di persone per tentare una “contaminazione”, ma soprattutto un reciproco arricchimento attorno ai temi ed alle proposte discusse nella recente 49ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, tenutasi a Taranto nell’ottobre 2021, dal titolo “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro #tuttoèconnesso”. A tale assise ho avuto la possibilità di partecipare in qualità di delegato regionale per la pastorale sociale e del lavoro, per conto della Conferenza Episcopale Marchigiana.


E così abbiamo chiamato alcuni rappresentanti del Movimento “Laudato Si’”, alcuni giovani di “Economy of Francesco”, dei giovani animatori di comunità del Progetto Policoro delle Marche, alcuni direttori diocesani degli uffici pastorali per i problemi sociali e del lavoro, ovviamente una bella e ricca delegazione dei Frati Cappuccini delle Marche, nonché altre persone sensibili ai temi ambientali e dell’economia civile. Dopo aver individuato questo primo gruppo di 22 persone, poi cresciuto fino a 26, abbiamo ipotizzato un percorso regionale con incontri itineranti, ogni due mesi circa, per riflettere insieme su come possiamo calare sui nostri territori la ricchezza degli spunti e delle proposte scaturite nella Settimana Sociale di Taranto. Il programma tipo di queste giornate prevede di iniziare con una meditazione di un frate cappuccino, per cui il 22 gennaio a Fano abbiamo ascoltato fra Pietro Maranesi e il 5 marzo a Recanati fra Damiano Angelucci; poi uno scambio di idee e proposte sui temi indicati, un momento conviviale insieme per conoscerci di più fra di noi, e a seguire un ascolto (e/o una visita) di alcune esperienze del territorio che ci ospitava.


Il focus di partenza era quindi la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, e a tale proposito è necessario considerare tre questioni:
1) È stato un “avvenimento” di tutta la Chiesa italiana e non un convegno per addetti ai lavori, per cui chi ha partecipato ha ricevuto un “mandato” a trasmetterlo e a coinvolgere il resto della Chiesa, da cui non ci si può sottrarre; ma anche chi non ha partecipato, non ne può ignorare i contenuti e i propositi emersi.
2) È stata anch’essa una tappa del cammino sinodale che inizia con l’ascolto delle ferite della nostra casa comune, e che dà il segno di una Chiesa che si apre e dialoga. Le proposte emerse per curare le ferite della nostra casa comune, sono un compito dei cristiani che non è disgiunto dalla vita di fede. Per questo, occorre agire nella logica di uno “sguardo” che va dal micro al macro, cioè dai problemi dei nostri territori – il micro – alle foreste dell’Amazzonia – il macro (se non lo fa la Chiesa, che è universale, chi mai lo farà?); e serve altresì conoscere meglio sia le ferite che esistono nei nostri territori, sia le buone pratiche che dimostrano che il cambiamento è possibile.
3) Ci aspettano compiti concreti: a) sensibilizzazione e, quando serve, anche denuncia, ricordando che la denuncia va sempre accompagnata dallo studio e dalle proposte di soluzioni, b) attuazione di gesti concreti per dare visibilità a questo impegno, c) dedicare una specifica attenzione alle cosiddette “aree interne” che meritano di essere riscoperte, sostenute, valorizzate, con l’ausilio di tutti quei “beni comuni” che esistono in quei territori e che vanno “rigenerati” con nuovi progetti e nuove idee, d) conoscere ed utilizzare i 17 obiettivi dell’agenda Onu 2030, che coincidono in gran parte con gli obiettivi della Laudato Si’, per avere linguaggi e strumenti di confronto con tutti, sia rispetto al mondo laico che a quello di altre fedi o religioni, e per attuare tutte quelle alleanze previste dal “manifesto dei giovani” presentato a Taranto.


La mia impressione, fin dal primo momento in cui abbiamo iniziato questo cammino, è stata molto positiva, in quanto il clima di fiducia reciproca e la voglia di realizzare qualcosa insieme era quanto mai percepibile, pur in una situazione di persone diverse che non si conoscevano e che provenivano da territori diversi e anche lontani fra di loro. E così, questo percorso intraecclesiale, intergenerazionale ed interdiocesano, realizzava un’aspettativa che coltivavo da diverso tempo. In particolare, la presenza di un buon numero di giovani motivati a voler portare il proprio contributo, pur in temi complessi quali sono quelli dell’ecologia integrale, tanto cara a Papa Francesco, merita senz’altro tutto l’impegno per metterli in condizioni di sentirsi protagonisti di questo “pianeta che speriamo”, che soprattutto dovrà corrispondere alle loro aspettative.
Per tempi nuovi c’è bisogno di pensieri nuovi e di progetti nuovi, ma noi adulti facciamo fatica ad uscire dagli schemi classici seguiti sino ad oggi. Per questo dobbiamo investire di più sui giovani. Ma il vero aiuto che possiamo fornire loro è lo stimolo, non ad affrontare il mercato (come spesso si sente dire), ma a modificare questo mercato: il mercato del lavoro, il mercato attuale della produzione di beni e servizi, il mercato finanziario così com’è regolato oggi. Serve alimentare la predisposizione al cambiamento dei giovani, incoraggiarli ad investire nei loro sogni, a reinventare forme di lotte civili e pacifiche per cambiare lo stato delle cose, specie in economia. Dobbiamo infondere loro il coraggio di rovesciare le istituzioni quando esse non sono strumenti di servizio, ma solo strumenti di potere. Finora abbiamo avuto un eccessivo “paternalismo” nei confronti delle nuove generazioni. Lasciamole sbagliare, perché non è detto che, quello che per noi oggi sembra errato, non si riveli invece giusto per l’economia che verrà. Inoltre abbiamo un assoluto bisogno di coltivare imprenditorialità. Non bastano le business schools, che semmai producono buoni manager: serve alimentare l’attitudine all’imprenditorialità stimolando la creatività, il senso del rischio, il sogno di osare verso nuove frontiere. C’è necessità di risvegliare forme di cultura appropriate a far crescere il concetto dell’intraprendenza per creare qualcosa di nuovo.


Noi adulti abbiamo una grande responsabilità: mettere le nostre competenze e le nostre esperienze a disposizione dei ragazzi e delle ragazze, supportarli nella fase di studio e di messa a punto delle opere da realizzare, e poi lasciarli realizzare con libertà (anche quella di sbagliare) la società del presente e il pianeta del futuro. Per concludere, lo spirito con cui mi sono approcciato a questa iniziativa, così come ad altre che mi competono per gli incarichi ricevuti, è quella indicata da Papa Francesco nel paragrafo dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, in cui illustra il principio che “il tempo è superiore allo spazio”.
«Questo principio – dice Papa Francesco – permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci» (EG 223). Per cui, se qualcuno mi chiedesse qual è il senso del mio impegno oggi, gli risponderei: “iniziare processi”. •