La Beata Sandra Sabattini nasce a Riccione il 19 agosto 1961 e muore il 2 maggio 1984 a Bologna, dopo essere stata investita da un’auto. Guido Rossi, che da qualche anno le era legato affettivamente, condivide alcuni dei suoi ricordi.
a cura della Pastorale Giovanile dei Cappuccini delle Marche

Nel corso del processo di Beatificazione di Sandra quale domanda ti ha più stupito?
Ciò che viene chiesto riguarda le cose più normali. Mi sembra di aver capito che la Chiesa, in tali casi, si interessa delle cose semplici e basilari, di come si svolge la vita ordinaria. Inoltre, ho colto che in tutte le 90 domande scritte alle quali sono stato invitato a rispondere, c’era molto più interesse ai fatti che ai commenti.
Quale influsso ha avuto la “Papa Giovanni XXIII” nella vita di Sandra?
L’incontro con questa associazione, ma anche con Oreste Benzi ed i poveri in generale, è stata la risposta alle tante sue attese. Sandra ha incontrato i disabili nelle Case-famiglia, ha toccato le povertà più forti come, ad esempio, la tossicodipendenza; tutto questo in un contesto, quello di 40 anni fa, in cui ancora non c’era molta conoscenza di quelle situazioni. Ovviamente la figura di don Oreste è stata trascinante, perché si vedeva che era un uomo di Dio e che attirava i giovani.
Quali sono stati gli aspetti più significativi della vita di Sandra, a tuo giudizio?
Anzitutto la sua vita è stata molto semplice. Un giorno don Oreste fece un incontro nella sua parrocchia e invitò i giovani presenti a fare un campeggio in montagna ad Alba di Canazei, in Val di Fassa. In tali occasioni don Oreste chiedeva ai giovani di andare a due a due a cercare i poveri che vivevano nella vallata, per invitarli a venire all’albergo. Oppure si accompagnavano i disabili a prendere la funivia. Da notare che eravamo negli anni ’70 e quindi non c’era una cultura dell’integrazione della disabilità come ai nostri giorni. C’era anche da lottare per eliminare le barriere architettoniche. Ricordo bene, a tal proposito, che in quei primi anni il sindaco del paese propose di pagarci qualcosa pur di andare altrove.

Sandra era anche una sportiva: praticava atletica leggera, in particolare era una velocista; ma sapeva anche suonare il pianoforte, nonostante due falangette delle dita mancanti. Forse proprio per questa piccola menomazione era attratta dai poveri e di fatto aveva una capacità di relazionarsi alla pari con loro.
Avete mai avuto momenti di aridità nella fede?
No. Ma sicuramente avevamo approcci diversi a tale dimensione. Io avevo una modalità molto razionale ed ero molto interessato alla filosofia; adesso mi rendo conto che non avevo una visione profonda e gioiosa. Per Sandra invece la fede era un’esperienza esistenziale, una ragione di vita, senza la quale – diceva lei – si sarebbe sentita disperata. Mi metteva in crisi ma nello stesso tempo mi educava. A volte ho pensato che io fossi uno di quei tanti poveri che lei seguiva.
Nel suo diario ci ha colpito che già a 14 anni scriveva che se non pregava un’ora al giorno non si sentiva nemmeno cristiana.
Sì, mentre per me la preghiera era qualcosa di circoscritto nel tempo e nello spazio, per lei cospargeva tutta la giornata. Nei ritagli, nei momenti “persi” lei pregava e tirava fuori il suo libretto della Liturgia delle Ore. Una volta mi rimproverò perché il mio libretto della Liturgia delle Ore era troppo nuovo. Ci tengo a dire che non era assolutamente una bigotta e che, se amava molto i poveri, amava molto di più il Signore. In fondo aveva ragione: non si può relegare Dio a dei momenti limitati.

Come hai fatto a non crollare nella fede quando Sandra è morta e a pensare che la sua vita non era stata sprecata?
A me ha aiutato tantissimo la sua famiglia con la quale sono ancora in relazione. Fu don Oreste ad intuire la spiritualità di Sandra e a rivelarmi, dopo la sua morte, che aveva intenzione di avviare il processo di beatificazione.
Cosa pensi che gli dirai appena la rivedrai in paradiso? Prima del Natale 1983 feci un sogno. Vedevo me stesso ormai vecchio che attraversavo un bosco e giunto a una casa bussavo alla porta. All’apertura della porta vidi apparire Sandra, giovane e sorridente. Questo sogno mi colpì tantissimo e glielo raccontai subito. Quindi, mi aspetto di rincontrarla in paradiso con un bel sorriso.
Quali erano, se ce n’erano, le fragilità e le debolezze di Sandra?
Forse un po’ di caparbietà, un po’ di rigorismo nella ricerca della radicalità e un’eccessiva timidezza; ma devo dire che anche io ho avuto delle difficoltà con lei per questo suo attaccamento alle scelte che faceva. Mi sembrava uno schiacciasassi. Ricordo che una volta, al ritorno da una esperienza estiva con i tossicodipendenti, la trovai a casa piangente seduta sul divano, tanto era stato il suo coinvolgimento con queste persone. Io mi sentivo quasi geloso, e le mie piccole questioni come la preoccupazione per un esame, ad esempio, mi sembravano nulla di fronte all’enormità delle sofferenze che lei incontrava. D’altra parte, c’ero anch’io e mi sembrava naturale chiedere un po’ delle sue attenzioni. In questi casi la preghiera era per me fondamentale, ma non nascondo che effettivamente ho sofferto questo squilibrio tra la sua sensibilità e la mia. La questione è che probabilmente io non ero al suo livello.

Stupisce molto che voi abbiate vissuto il vostro fidanzamento cristianamente, cioè in castità. Dinanzi a noi giovani potresti dirci come è possibile vivere una relazione di fidanzamento casta?
La nostra scelta non è stata il risultato, il frutto, di un atto di volontà. Certo, è stata una nostra scelta, ma non mi sento di dire di avere faticato a viverla. Il punto di fondo è di avere obiettivi più alti; quando una brocca è piena non c’è posto per aggiungere altro. Capisco benissimo che istintivamente nel fidanzamento viene da chiudere il mondo fuori dalla coppia; invece è bello vivere esattamente l’atteggiamento contrario. La sola fisicità chiude la relazione e devo ammettere che lei in questo mi ha aiutato tanto. Ma torno a ripetere: non era assolutamente bigotta e sapeva gioire dell’affettività. La chiave di volta è quanto uno si sente in grazia di Dio e sente di essere sulla strada che Dio vuole per lui. Se c’è questa consapevolezza, tutto diventa chiaro e pulito, altrimenti è tutto un contrattare con la propria coscienza e un lamentarsi, fino ad arrivare a un punto che l’essere cristiano diventa solo un impedimento a fare ciò che si vorrebbe fare. Anche un bacio è bello se la persona è interiormente unita, se non è a pezzi, se non è una che cambia casacca ad ogni situazione. Ovviamente per essere una persona interiormente unita occorre essere e vivere sempre nel Signore. Ricordo che lei coglieva ogni momento per rivolgere a Dio una preghiera, un pensiero. Come dicevo prima, aveva sempre una capacità spontanea di vivere in comunione con Dio tutte le cose che faceva.
Qual è il più bell’insegnamento che Sandra ti ha lasciato?
In questo momento mi viene in mente un bell’insegnamento di don Oreste. Ai tempi in cui si frequentava insieme la comunità “Papa Giovanni XXIII” eravamo ancora in pochi, e avevamo l’abitudine di festeggiare i compleanni di ognuno. Don Oreste usava dare al festeggiato un piccolo biglietto con un’immaginetta e dietro scriveva una frase indirizzata al festeggiato. La frase che scrisse al mio compleanno fu: “La vita insieme al Signore è un canto!”. È verissimo: la gioia della vita insieme al Signore e la coerenza al progetto che Dio ci affida sono il sapore della vita. •