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Occhi di cane

di fra Sergio Lorenzini

Dove quel cane passava, la gente mutava vita. D’altronde era il cane dell’eremita, stando accanto al religioso aveva visto Dio e l’Onnipotente gli si era impresso nelle pupille. Nei suoi occhi verdi e fosforescenti c’erano gli occhi stessi dell’Altissimo e quando gironzolava per il paese scodinzolando, tutti, in qualche modo, si sentivano guardati, spiati, ammoniti, non dagli occhi languidi di un cane randagio ma dalle pupille stesse dell’Eterno. E così, a furia di passeggiare per anni in ogni angolo e via, tra le stalle e le osterie, la città cambiò volto e si volse al bene: i commercianti divennero onesti, i ladri smisero di rubare, i mariti di frequentare le loro amanti, i ricchi di affamare i poveri. Si smise anche di tirar bestemmie e la chiesa parrocchiale si riempì. Alla fine il cane morì, e nel seppellirlo scoprirono che non era quello dell’eremita ma un randagio qualunque. Troppe cose, nel frattempo, però erano cambiate e tornare indietro ai costumi di una volta era ormai cosa impossibile. Il paese era stato trasformato da un cane qualunque in cui tutti avevano creduto di sentirsi osservati dal Creatore.
Questo, in quattro righe, il succo di un gustosissimo racconto dello scrittore bellunese Dino Buzzati dal titolo “Il cane che ha visto Dio”, che con altri trenta racconti costituisce la raccolta del 1968 La boutique del mistero, tutta da assaporare. Ne estraggo due spunti fulminei per la riflessione. Primo: sentirsi gli occhi addosso cambia la vita. Non è lo stesso vivere avvolti da una nebbia impenetrabile o sapersi guardati come alla luce del sole. C’è, in questa seconda opzione, un notevole aumento di responsabilità e un salutare dovere di render conto delle proprie azioni, che evapora invece nell’anonimato di chi vive all’oscuro dello sguardo altrui. Il saggio Seneca scriveva al suo Lucilio: «Certo, bisogna vivere, come se la nostra vita si svolgesse alla presenza di altri; bisogna pensare, come se qualcuno potesse spingere il suo sguardo nel fondo del nostro cuore: e ciò è possibile. Infatti che giova se qualcosa rimane occulta agli uomini? Nulla sfugge a Dio». È quello che con altre parole ricorda san Paolo quando, parlando della Parola di Dio, che come spada penetra nelle profondità dell’anima, afferma: «Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4,13). Anche il salmo 139 offre in versi di poesia lo stesso concetto: «Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza?».
Secondo: lasciati a noi stessi incliniamo al male, se non c’è uno sguardo che ci riscatta. Attenzione: non lo sguardo invadente e minaccioso di un triangolo occhiuto, un eterno spione che s’intrufola in ogni angolo di vita, ma lo sguardo buono del Padre che veglia con amore sul cammino dei suoi figli. Sapersi guardati, scoprirsi amati e rispondere con una vita all’altezza di quello sguardo. Occhi nuovi, vita nuova: un dono da chiedere ogni giorno.