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Non solo trekking

Mettersi in marcia per poterci riappropriare del nostro tempo e scoprire che in esso c’è molto di più di ciò cha appare in superficie. Il racconto di una giovane che ha percorso un tratto del Cammino dei Cappuccini, afferma la necessità del nostro cuore di ricercare il “di più” della nostra vita.
di Lucia Clara


Arriva il momento in cui ti viene voglia di riprenderti il tuo tempo, non tanto e non solo il tempo cronometrico, quello segnato dalle lancette dell’orologio, ma quello interiore, necessario per una sana solitudine. Non vuol dire isolarsi da tutti e da tutto, quanto piuttosto rallentare il ritmo ordinario della tua giornata.
Nasce un po’ così il desiderio di vivere cinque giorni lungo l’itinerario del Cammino dei Cappuccini: dalla voglia di prendersi una pausa dai mille impegni e pensieri quotidiani, dal bisogno di schiarirsi le idee, di respirare aria pulita, dalla necessità di “fermarsi”, fermare i pensieri negativi, fare chiarezza su se stessi, evadere per alcuni giorni dal ritmo frenetico a cui siamo abituati a stare: un ritmo che a volte tende a farci perdere la cognizione del tempo; corriamo a destra e a sinistra, non ci fermiamo mai a sentire i nostri pensieri, quello che davvero vogliamo fare, dire o provare; spesso siamo troppo influenzati da tutto e da tutti da finire per andare in una direzione che forse non è nemmeno quella che vorremmo prendere. Per questo motivo, passare cinque giorni in mezzo alla natura, staccandosi dalla dipendenza che ci crea il cellulare e vivendo con l’unico scopo di camminare insieme ad altri, mi è sembrata l’esperienza giusta per me.


Con questa voglia di staccarmi da tutto, e un pizzico fondamentale di sana ingenuità, sono partita per questa avventura dal 21 al 25 aprile scorso, da Fabriano a Camerino, nelle Marche, lungo i sentieri che da Fossombrone ad Ascoli Piceno scandiscono in 17 tappe, per un totale di quasi 400 km, il Cammino dei Cappuccini. Questa esperienza mi chiedeva di camminare ogni giorno con lo zaino sulle spalle, dal peso che variava in base alla capacità di sapermi staccare dalle cose materiali; vi assicuro che se tornassi indietro porterei con me giusto quei 3/4 chili indispensabili: acqua, sapone per lavare i panni, cerottini e una scorta di carburante di 5/6 panini. A parte gli scherzi, pur essendo una sportiva, non avevo mai camminato così tante ore e per questo all’inizio mi sono ritrovata con qualche difficoltà. La fatica del primo giorno, ad esempio, è stata notevole: da Fabriano a Poggio San Romualdo abbiamo percorso un tragitto di 27 km, sempre in sali e scendi – molto più “sali” che “scendi” – e in aggiunta l’ultimo tratto lo abbiamo fatto in mezzo alla nebbia e sotto la pioggia battente. Fra Sergio Lorenzini, che è stato l’ideatore del Cammino, e nostro accompagnatore in questi cinque giorni insieme a fra Claude e fra Damiano, ha suggerito di dare un senso spirituale alle avversità del meteo, dicendo che il cielo ci aveva dato il suo “battesimo”.


Si sarà pur trattato di un segno della benevolenza celeste, ma acqua, vento e nebbia erano un mix perfetto per decidere di tornare a casa. E così sarebbe stato, probabilmente, se non fosse che si è fatto subito sentire il vero spirito di questa esperienza tramite i compagni di viaggio che si sono offerti di aiutarmi a portare lo zaino. Ho così resistito alla tentazione di farmi venire a prendere e di tornare a casa. In effetti, dopo questo primo ostacolo, i giorni seguenti sono stati più agevoli e, pur crescendo ogni giorno la mia consapevolezza di quella che sarebbe stata la fatica e il timore di non farcela, anche il mio fisico si faceva sempre più robusto e resistente. Durante il cammino si poteva godere delle bellezze del nostro territorio, con dei posti e dei panorami così meravigliosi che si era ripagati di ogni sforzo; inoltre, se rimaneva un po’ di fiato, il tempo del cammino passava anche nella condivisione di pensieri, elaborazione di ricordi, risate con i propri compagni di viaggio, ognuno con un’età e una storia differente da condividere.
Molto significativo e arricchente è stato proprio aver avuto la possibilità di fare amicizia con tutti, sia con persone più grandi che con i coetanei. Ho legato con diverse persone, e ognuna di queste mi ha lasciato qualcosa; una signora più anziana, per esempio, nella sua semplicità e forza mi ha dato la carica per continuare il cammino con uno spirito diverso: lei non si è mai lamentata, ha sempre camminato con il suo passo regolare e costante, ed è riuscita perfino a dare la carica a noi più giovani. Davvero fantastica!


Ho stretto amicizia anche con le altre persone che mi hanno aiutato durante il cammino. Una parola di conforto, un sorriso, uno scambio di battute, sono stati ingredienti semplici ma fondamentali per vivere al meglio questa esperienza. Non solo: ho anche avuto modo di legare ulteriormente con persone che già conoscevo, condividendo vecchi ricordi e creandone di nuovi.
Una delle più belle sensazioni vissute è stata per me quella di ritrovare una connessione che non aveva nulla a che fare con quella che abbiamo ogni giorno con i nostri telefoni: questa non è reale, quella che ho percepito invece lo era. Ho sperimentato armonia fra il mio spirito e il mio corpo, ho percepito equilibrio, i miei pensieri finalmente erano più chiari, non dovevo pensare a nulla se non a camminare, usavo l’energia solo per cose strettamente necessarie come mangiare, camminare, fare due chiacchiere. Nonostante i vari acciacchi mi sentivo rigenerata, e questa bella sensazione l’ho portata con me anche nei giorni successivi al cammino.
Proprio a tal riguardo, devo ammettere che i ricordi “belli” hanno completamente messo in secondo piano quelli “brutti”. Come non ricordare le serate passate a commentare e raccontare la giornata appena trascorsa, mangiando, dato che la fame era tanta, fin quasi ad abbuffarci? Addirittura, quando avevamo un po’ di energia, siamo riusciti pure a cantare qualche canzone o a fare qualche gioco in scatola.


Alla fine dei cinque giorni sono tornata a casa, ovviamente stanca, ma con gli occhi che mi brillavano; il mio corpo mi ha ringraziato, i miei occhi hanno visto solo paesaggi stupendi e, cosa non da poco, sono stata lontana dallo stress del telefono. Veramente bello! A distanza di un mese mi rendo conto che bisognerebbe fare un’esperienza simile almeno due volte all’anno, per potersi riconnettere con sé stessi.
Sono consapevole che la realtà che si vive ordinariamente mette di fronte a sfide ben differenti rispetto a quelle che si vivono in un’esperienza come quella che ho appena raccontato, dove l’unico obiettivo era sostanzialmente di arrivare a fine percorso. Nella vita di tutti i giorni siamo sottoposti continuamente a sfide, a volte piccole, ma altre volte più grandi di noi, almeno all’apparenza: sfide veramente difficili da superare.
Eppure, nello stesso tempo, questa esperienza mi ha anche suggerito qualche intuizione su cosa è il “cammino della vita”. In fondo anche la vita ti mette alla prova; anche la vita ti mette di fronte alle tue fragilità che vanno semplicemente accolte e conosciute per poterle poi affrontare al meglio. Anche la vita reale ti insegna e ti porta a capire che non sei da solo e che non devi per forza portarti tutto il peso sulle spalle, perché c’è qualcuno pronto a darti una mano nel momento in cui ne hai più bisogno. Infine, la cosa per me più bella: non bisogna sentire la debolezza come se fosse un difetto perché, nel momento in cui ricevi aiuto, ti stai solo ricaricando e preparando a poter essere tu d’aiuto per qualcun altro. Solo se ci si aiuta in maniera reciproca si riesce ad arrivare tutti, insieme, alla fine della salita. •