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La segnaletica del Signore

Qualcuno dice che le vie del Signore sono infinite, e qualcun altro aggiunge che la segnaletica non è sempre chiara. Un giovane ventenne, proveniente dal nord-ovest della Francia, ci racconta come ha fatto ad arrivare proprio qui, nel nostro centro di Pastorale giovanile di Civitanova.
di Pierre-Louis Caradec


Sono nato a Nantes (attenti: la “s” non si pronuncia!) nel 1996, e sono di origini bretoni e provenzali. Un dolce mix per un vino di qualità… un po’ come mettere insieme un napoletano e un milanese! Il mio cognome, che in bretone significa “dolce e gentile”, lo mostra bene.
In famiglia siamo tre figli. La mia sorella maggiore, che ha la sindrome di Down, ha 26 anni: è stata il sole della mia infanzia, ed è per me lo specchio di Cristo. Il mio fratello più piccolo ha 22 anni, studia ingegneria informatica e ha la passione per le automobili. Mio padre è professore di fisica e tiene delle conferenze sulla teologia del corpo. Mia madre, infine, è psicoterapeuta e s’interessa un po’ a tutto. Io, invece, sono uno psicologo ergonomico, ovvero adatto le condizioni di lavoro ai lavoratori. Da 4 mesi sto facendo un’esperienza di vita francescana con i frati cappuccini di Civitanova Alta. Come ci sono finito? Adesso ve lo racconto…
Sono sempre stato molto vicino ai frati e allo spirito francescano. Mia madre parla correntemente l’italiano e andava molto spesso a Padova; così sono cresciuto con la devozione a Sant’Antonio di Padova, con questa preghiera molto semplice: “Sant’Antonio di Padova, birbantello e birichino, ma così buono e così carino, se tu non mi aiuti a ritrovare quello che cerco, io non ti do nemmeno un soldino. Grazie, Sant’Antonio!”. Questa preghiera è stata uno degli elementi che è alla base della mia vita spirituale: mi ha permesso di vedere fino a che punto Dio risponde alle nostre preghiere (ovviamente secondo la sua volontà). Essa esige sempre un atto di abbandono, e questo dava fastidio a mio padre, perché, ogni volta che egli la recitava, non aveva nessuna risposta, mentre quando lo faceva mia madre, all’improvviso, ecco la risposta. Eh sì: le donne, rispetto agli uomini, riescono più facilmente ad abbandonarsi a Dio.


Io ero come mio padre: credevo che dicendo delle preghiere, recitando il rosario, imitando la vita dei santi e rendendomi utile alla Chiesa, sarei diventato anch’io un santo. Al contrario, questi atti hanno poco valore davanti a Dio. Per me era solo un’ideologia, il cui obiettivo era quello di riflettere una bella immagine di me, per sentirmi bene. Poco a poco, però, a forza di delusioni, il Signore è riuscito a farmi comprendere che tutte queste azioni non valgono nulla se non si lascia l’iniziativa allo Spirito. Alla fine, non è attraverso queste azioni eroiche che ho incontrato Cristo, ma è Lui che mi ha raggiunto attraverso l’accoglienza del suo Spirito e l’offerta di ciò che sono, in particolare di ciò che mi rende debole: il mio peccato. E lì, il Signore ha fatto cose grandi: mi ha letteralmente liberato dalle mie catene (il mio ego); ha iniziato a prendere le redini della mia vita: un’intensa vita di preghiera, l’evangelizzazione in strada e all’università, la conversione di un mio caro amico, e soprattutto ho scoperto finalmente il mio posto all’interno del Corpo di Cristo che è la Chiesa: essere francescano.


Questa scoperta l’ho fatta poco a poco; ma c’è ancora una tappa importante di cui devo parlarvi. Una sera ero in giro ad aiutare i senzatetto. In quel periodo ero responsabile di un gruppo di studenti che andavano ad incontrare i poveri per strada. Stavolta mi sentivo orgoglioso di aver portato con me il mio compagno di stanza, lui che inorridiva quando si trattava di avvicinarsi ai mendicanti. Ma, incredibilmente, è stato lui, quella sera, a spingermi verso l’incontro che mi ha sconvolto. Mentre stavo chiacchierando tranquillamente con un senzatetto, il mio compagno di stanza mi ha chiamato e mi ha chiesto di portare un po’ di zuppa ad un povero un po’ strano. Mi ero accorto di lui, ma il suo aspetto orribile mi aveva allontanato. Io faccio come se non avessi sentito nulla e continuo la mia chiacchierata. Il mio amico, però, insiste e a quel punto sono costretto ad avvicinarmi al tipo. In quel momento scopro un uomo distrutto dalla vita, che versa in una sofferenza fisica estrema. Vi risparmio i dettagli di quell’incontro. Ma ad un certo punto decido di donargli una delle cose più preziose per me: il mio rosario, che mi ero riportato da Gerusalemme. Poi, prendendolo nelle mie braccia, scorgo nei suoi occhi la dimensione infinita dell’amore, lo sguardo di Cristo in croce. Dopo questo incontro, faccio l’esperienza che Madre Teresa descrive: quando io contemplo il Corpo di Cristo, vedo lo sguardo di quel povero che mi attira a lui.
Da quel momento, decido di avere fiducia in Dio e comincio ad interessarmi dei francescani un po’ più da vicino. Il fatto è che in Francia i francescani sono pochi e anziani, a parte i conventuali che sono molto carismatici e propongono un periodo di discernimento chiamato “anno San Francesco”. Ne parlo con suor Elena, una suora italiana delle Francescane Missionarie di Gesù Bambino che hanno un convento a Aix-en-Provence. Lei mi consiglia qualcos’altro: andare in pellegrinaggio ad Assisi e fare una piccola esperienza di vita francescana in un convento cappuccino. Appena sento la parola ‘cappuccino’ mi si gela il sangue… Mi dico subito: “Assolutamente no!”. Vi spiego il perché. Io ho alloggiato per un anno in un convento cappuccino a Parigi. Per me, questo convento era tutto tranne che attraente: assomigliava più che altro ad una casa di riposo per laici, dato che nessun religioso indossava l’abito. Poi mi sono ricordato che due sacerdoti mi avevano consigliato i cappuccini. E suor Elena, attraverso fra Pietro Maranesi, mi rassicura a proposito dei cappuccini italiani, in particolare quelli di Civitanova Alta, dove mi propone di andare.


Man mano che il tempo passa, decido di buttarmi verso l’ignoto, ben consapevole che non parlo una parola di italiano, a parte “mamma mia”, “ti amo”, “vivo per lei” e “con te partirò”, e che si è in piena confusione politica subito dopo Natale. Le norme anti-Covid per chi entra in Italia da un Paese straniero sono incomprensibili e cambiano da una settimana all’altra.
Già dalla partenza, l’avventura si annuncia complicata: nessun treno, nessun aereo, né nessun altro mezzo di trasporto garantisce il collegamento tra Marsiglia e l’Italia. L’unico modo è quello di arrivare fino a Parigi in treno, prendere un aereo per Roma e poi fare 5 ore di treno, ma avendo già fatto un test negativo 48 ore prima. La faccenda mi sembra complicata e molto costosa. La Provvidenza, però, viene sempre in aiuto quando si cerca Dio: infatti, un italiano mi propone di condividere con lui il viaggio in auto tra Marsiglia e Cattolica; e fra Damiano, il guardiano di Civitanova Alta, mi dice che questa soluzione può andar bene. Io prendo l’occasione al volo; ma quando mi trovo davanti fra Damiano al parcheggio, faccio tra me e me: “In quale guaio mi sono messo ancora una volta…?”.
Arrivo in convento e scopro una fraternità molto accogliente, calorosa e premurosa. Malgrado i miei numerosi errori di italiano, non mi sono mai sentito giudicato, anche se non ho praticamente detto una parola il primo mese (cosa alquanto difficile per un chiaccherone come me). La cosa che mi resta complicata è il dialetto, che non esiste in Francia; e qui ci sono molti specialisti, tanto che alcuni all’inizio mi dicevano: “Già parli italiano meglio di loro!”. Per fortuna il cibo consola, quando non si capisce un tubo a tavola, con Stefano che è un grande chef.


Sono rimasto strabiliato dalla bellezza del giardino e dal panorama che si gode verso le montagne e il mare. I paesini delle Marche sono stupendi! Sono sbalordito dall’impronta che i francescani hanno lasciato nella regione: a volte ci sono 3 conventi in una piccola città. Il contesto francese è diversissimo: pensate che noi abbiamo un sacerdote ogni 6000 abitanti, mentre gli italiani ne hanno uno ogni 2000.
È chiaro che non è tutto rosa e fiori. In chiesa mi piace molto la semplicità della celebrazione eucaristica, ma le litanie alla fine del rosario sono un vero e proprio calvario! Mi sono accorto che le mie orecchie vanno in modalità off. Poi mi stupisce non poco la cultura calcistica che c’è. Fortunatamente non tutti gli italiani si interessano di calcio… Sentite questa. La sera della partita tra PSG (Paris Saint-Germain) e il Bayern Monaco, uno dei giovani in accoglienza fa, serio: “Non sapevo che il Porto San Giorgio giocasse in Champions League!”.
Fra un mese rientro in Francia, e sicuramente avrò un sacco di cose da raccontare. E spero, con la grazia di Dio, di poter conservare questa gioia francescana così significativa. •