La conoscenza della persona di Cristo diventa per l’evangelista-apostolo Giovanni un’esperienza sempre più radicata nella fede. Dopo l’Ascensione del Maestro essa diviene unzione nello e dello Spirito di Dio.
di fra Raniero Cantalamessa
La fede “del cuore” è frutto di una speciale unzione dello Spirito. Quando si è sotto questa unzione, credere diventa una specie di conoscere e di vedere: “Noi abbiamo creduto e conosciuto” (Gv 6,69); “Abbiamo contemplato il Verbo della vita” (cfr. 1Gv 1,1). Senti affermare da Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6) e riconosci dentro di te, con tutto il tuo essere, che quello che ascolti è vero.
Ho conosciuto di recente un caso impressionante di questa illuminazione di fede avvenuta proprio grazie a questa parola di Gesù trasmessaci da Giovanni. Conobbi a Milano un artista di origine svizzera che aveva avuto rapporti di amicizia con le personalità filosofiche e artistiche più in vista del suo tempo e allestito mostre personali di pittura in varie parti del mondo.
La sua appassionata ricerca religiosa lo aveva portato ad aderire al buddismo e all’induismo. Dopo lunghi soggiorni in Tibet, India, Giappone, era divenuto un maestro in tali discipline. A Milano, aveva tutta una schiera di professionisti e uomini di cultura che ricorrevano alla sua guida spirituale e praticavano con lui meditazione trascendentale e yoga.
Il suo ritorno alla fede in Cristo mi apparve subito come una testimonianza straordinariamente attuale e ho insistito a lungo perché la mettesse per iscritto. Mi è giunto proprio questi giorni il suo manoscritto e voglio leggerne un piccolo stralcio. Aiuta, tra l’altro, a capire cosa deve aver provato Saulo sulla via di Damasco, davanti alla luce che annientava in un istante tutto il suo mondo interiore e lo sostituiva con un altro:
“Mi trovavo solo, in un fitto bosco, quando avvenne quella rivoluzione interiore che cambiò l’intera struttura pensante della mia mente. Conoscevo le parole di Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita e nessuno arriva al Padre se non tramite me”. Ma, in passato, le avevo trovate alquanto presuntuose. Ora queste parole colpivano il centro del mio essere. Dopo trentacinque anni di buddismo, induismo e taoismo ero attratto da “quel Dio”. Eppure c’era in me la presenza di un profondo rifiuto per tutto ciò che riguarda il cristianesimo. Lentamente, sentii invadermi una strana sensazione del tutto nuova, come mai prima avevo provato. Percepii la presenza di Qualcuno che emanava una straordinaria potenza.
Quelle parole di Cristo mi ossessionavano, diventavano un incubo. Feci resistenza, ma il suono interiore si ampliava e ritornava come un’eco nella mia coscienza.
Mi trovai vicino al panico, perdevo il controllo sulla mia mente e questo dopo trent’anni di meditazione del profondo era per me inconcepibile. “Sì, è vero, hai ragione, gridavo, è vero, è vero, ma smetti, ti prego, ti prego”. Credevo di morire dalla impossibilità di uscire da quella tremenda situazione. Non vedevo più gli alberi, non sentivo più gli uccelli, c’era solo la voce interiore di quelle parole che si stampavano nel mio essere.
Caddi a terra e persi coscienza. Ma prima che avvenisse, mi sentii avvolto da un amore senza limite. Sentivo liquefarsi la struttura portante del mio pensiero, come una grande esplosione della mia coscienza. Morivo ad un passato da cui ero profondamente condizionato, ogni verità si disintegrava. Non so per quanto tempo rimasi là, ma quando ripresi coscienza ero come rinato. Il cielo della mia mente era limpido e lacrime senza fine scorrevano e mi bagnavano il volto e il collo. Mi sentivo l’essere più ingrato che esiste su tutta la terra. Sì, la grande vita esiste e non appartiene a questo mondo. Per la prima volta scoprivo cosa intendono i cristiani per Grazia”.
Da oltre venticinque anni quest’uomo, noto come Master Bee, insieme con la moglie, un’artista anche lei, conduce vita semieremitica nel mondo e agli antichi discepoli che vanno a consultarlo insegna la preghiera del cuore e la recita del rosario.
Non ha sentito il bisogno di rinnegare le sue passate esperienze religiose che hanno preparato l’incontro con Cristo e gli permettono ora di valutarne appieno la novità. Continua, anzi, ad avere per esse profondo rispetto, mostrando, coi fatti, come sia possibile coniugare oggi la più totale adesione a Cristo con un’apertura grandissima ai valori di altre religioni.
La storia segreta delle anime, fuori dei riflettori dei mass media, è piena di questi incontri con Cristo che cambiano la vita ed è un peccato che la discussione su di lui, anche tra i teologi, prescinda completamente da essi. Essi dimostrano che Gesù è davvero “lo stesso, ieri, oggi e sempre”, capace di afferrare i cuori degli uomini d’oggi con non minore forza di quando “afferrò” Giovanni e Paolo.
Dal suo ritiro quest’uomo ha scritto: “Cristo è attuale più che mai e urge un nuovo annuncio creativo su di lui. Dobbiamo far capire alla gente che credere in Gesù Cristo è qualche cosa di straordinario e meraviglioso, e arricchisce la vita immensamente. Si apre una nuova dimensione nell’essere e non ci sentiremo mai più soli all’interno del nostro sé o anima. Si spalanca la porta verso quella Luce infinita di cui parla Giovanni nel suo vangelo. La cosa straordinaria della luce di Cristo è che, nella sua essenza, è l’amore supremo”.
Proprio l’evangelista Giovanni ci offre un fortissimo incentivo a riscoprire la persona di Gesù e a rinnovare il nostro atto di fede in lui. Egli è una testimonianza straordinaria del potere che Gesù può arrivare ad avere sul cuore di un uomo. Ci mostra come sia possibile costruire intorno a Cristo tutto il proprio universo. Riesce a far percepire la pienezza unica, la meraviglia inimmaginabile che è la persona di Gesù.
C’è di più. I santi non potendo portare con sé la fede in Cielo, dove essa non serve più, sono felici di lasciarla in eredità ai fratelli che ne hanno bisogno sulla terra, come Elia lasciò il suo mantello a Eliseo, salendo al cielo. Sta a noi raccoglierlo. Possiamo non solo contemplare la fede ardente di Giovanni, ma farla nostra. Il dogma della comunione dei santi ci assicura che è possibile e pregando se ne fa l’esperienza.
Qualcuno ha detto che la sfida maggiore per l’evangelizzazione, all’inizio del terzo millennio, sarà l’emergenza di un nuovo tipo di uomo e di cultura, l’uomo cosmopolita che, da Hong Kong a New York e da Roma a Stoccolma, si muove ormai in un sistema di scambi e di informazioni planetarie, che annulla le distanze e fa passare in secondo piano le tradizionali distinzioni di cultura e di religione.
Ora, Giovanni è vissuto in un contesto culturale che aveva qualcosa in comune con questo. Il mondo faceva allora, per la prima volta, l’esperienza di un certo cosmopolitismo. Il termine stesso kosmopolitès, cosmopolita, cittadino del mondo, nasce e si afferma proprio in questo contesto. Nelle grandi città ellenistiche, come Alessandria di Egitto, si respirava aria di universalismo e di tolleranza religiosa.
Ebbene, come si comportò, in una situazione del genere, l’autore del quarto vangelo? Cercò forse di adattare Gesù a questo clima sincretista in cui tutte le religioni e i culti venivano accolti, purché accettassero di essere parti di un tutto più grande? Niente di tutto questo! Non polemizzò contro nessuno, se non contro i cattivi cristiani e gli eretici all’interno della Chiesa; non si lanciò in polemiche contro altre religioni e culti del tempo (se non, nell’Apocalisse, contro quello indebito dell’imperatore); semplicemente annunciò Cristo come supremo dono del Padre al mondo, lasciando ognuno libero di accoglierlo o meno. Polemizzò, è vero, con il giudaismo, ma questo non era per lui un’altra religione, era la sua religione!
Come è giunto, Giovanni, a un’ammirazione così totale e a un’idea così assoluta della persona di Gesù? Come si spiega che, con il passare degli anni, il suo amore per lui, anziché indebolirsi, è andato ingigantendo sempre più? Io credo che, dopo che allo Spirito Santo, ciò sia dovuto al fatto che aveva accanto a sé la Madre di Gesù: che vive con lei, pregava con lei, parlava con lei di Gesù. Fa una certa impressione pensare che quando concepì la frase: “E il Verbo si è fatto carne”, l’evangelista aveva accanto a sé, sotto lo stesso tetto, colei nel cui seno questo mistero si era compiuto.
