di fra Sergio Lorenzini
Seduto a tavola con ospiti indesiderati, bello come un Dio, ma col cuore angosciato. Il suo pensiero è fisso al padre, un padre che non ha neppure conosciuto, ma di cui tutti alla reggia gli hanno parlato nei lunghi anni della sua assenza. «Il mio padre io perdei. Che dico il mio? Popol d’Itaca, il nostro: a tutti padre, più assai che re, si dimostrava Ulisse». L’Odissea si apre col vuoto del padre che sanguina nel cuore del figlio. Telemaco non sopporta più di attendere l’incerto suo ritorno e si imbarca in mare aperto alla ricerca di lui. Così inizia il poema omerico e con esso la letteratura ellenica: un padre assente, una sposa sola, la casa invasa da stranieri e un figlio in mezzo al mare. Solitudine e smarrimento gli effetti della mancanza, e il non sentirsi più a casa neanche tra le proprie mura, perché quelle mura senza il padre non proteggono e non riscaldano più. Telemaco cerca il volto che non ha visto, gli occhi in cui riconoscere chi è e da dove viene, cerca l’abbraccio rassicurante in cui riposare e crescere.
Abbraccio paterno che, per una perversa evoluzione, si è trasformato nel corso dei secoli da porto sicuro a morsa soffocante: una gabbia da cui evadere con energica ribellione. Fa tremare la terribile affermazione di Jean-Paul Sartre in Le parole: «Non vi sono padri buoni, è la regola: non prendiamocela con gli uomini ma col legame di paternità che è marcio. Far figli, nulla di meglio; averne, che iniquità! Fosse vissuto, mio padre si sarebbe adagiato su di me e mi avrebbe schiacciato. Per fortuna è morto in giovane età». A tanto è giunta la cultura moderna: a gioire della morte del padre come condizione per la libertà del figlio. È, a ben pensarci, la solita vecchia tentazione, la stessa che catturò Adamo ed Eva mettendo loro in bocca il frutto, bello all’apparenza e desiderabile, della liberazione dal grande tiranno. A furia di libertà, dicono gli psicologi dei nostri tempi, il padre è evaporato, dissolto dalle smanie liberticide dell’individuo. Ognuno libero di far quel che vuole senza altri sopra di lui a metter limiti. Sembrerebbe il paradiso e invece è il vuoto, perché un orfano pur con il mondo tra le mani rimane pieno di nostalgia. E la domanda del padre rinasce oggi ancor più forte a motivo della sua prolungata assenza e ne invoca il ritorno. Di un padre buono, non delle sue contraffazioni, tutti abbiamo bisogno perché, come chiarisce la Patris corde – lettera di papa Francesco su san Giuseppe: «Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà». Si cerca un padre per trovare se stessi, si cerca un padre per sentirsi figli amati e, infine, si cerca un padre per diventare padre, capace di donare la propria vita prendendosi cura della vita di un altro.