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Il Cammino dei Cappuccini


Il 3 luglio scorso, anniversario della nascita dei Cappuccini, si è svolta nello storico Ateneo di Camerino la presentazione del Cammino dei Cappuccini, un progetto in collaborazione con il Comune e l’Università di Camerino che apre la strada alle celebrazioni del 2028 per i 500 anni di vita dell’Ordine. Il Rettore dell’Università di Camerino, moderatore dell’incontro, ci ha rilasciato la sua testimonianza.
di Claudio Pettinari, Rettore Università di Camerino


Sto per affrontare l’ultimo pezzetto di questa piccola ma ripida salita. Sono tornato qui, a piedi, dopo aver trascorso tanti mesi, troppi, confinato tra le mura di casa e quelle dell’ateneo, per colpa di questa pandemia che non ci abbandona. Eccomi qua a Renacavata, il primo convento dell’Ordine cappuccino, un luogo dove riesco a ritrovare me stesso, un luogo dove tante persone spesso ritrovano quella pace desiderata e talvolta tanto lontana, un luogo dove si fanno promesse, voti, progetti, sempre con la gioia nel cuore. Un luogo dove sto bene, un luogo dove mi sento libero.
Nel cuore ho un po’ di tristezza per tutto quello è accaduto in questi ultimi anni, ma sono certo che dopo questa visita sarò di nuovo pronto a riprendere il cammino.


Respiro a pieni polmoni, un venticello leggero sposta le foglie sul piazzale, mi avvicino alla chiesetta e, mentre ammiro la terracotta policroma di Santi Buglioni, il pensiero va ai tanti fratelli che qui ho conosciuto in questi anni, durante colazioni o pranzi organizzati in fraternità ed amicizia.
Penso alle giornate trascorse qui circa 40 anni fa con i miei compagni, accompagnati dal nostro parroco, giornate che si concludevano con la solita partita a calcio nel piazzale. Penso al Natale e al presepe, di cui era irrinunciabile la visita, sempre bello, sempre emozionante. Penso alle tante occasioni avute di visitare quel luogo e ai piccoli pellegrinaggi, momenti anche per rafforzare amicizie, ascoltare altre persone, raccontare di me: si respirava e si respira amore.


I Frati Cappuccini sono una riforma francescana partorita da intricate vicende, che ebbero come teatro l’entroterra delle Marche degli anni Venti e Trenta del Cinquecento. Sono entrati a tal punto nel tessuto sociale che fanno parte di noi, fanno parte della nostra quotidianità. Li vedo passare, sfrecciare veloci a bordo delle loro auto o pulmini, per recarsi a dir messa, a confessare, oppure ad aiutare chi ne ha bisogno. Come durante l’emergenza post-sisma, quando hanno assistito nei palazzetti tante persone fragili, distribuendo pasti, versando bevande, proponendo preghiere, riflettendo insieme a tutti quelli che avevano dubbi sul futuro, mostrando la luce. Sono stati sempre importanti in questi “quasi” cinquecento anni: hanno accompagnato la comunità sempre, senza chiedere, senza pretendere, comunque presenti, garantendo quella vicinanza di cui tutti sentivano la necessità. L’affettuoso termine “Cappuccini” non è solo diventato un toponimo, il luogo dove recarsi magari la domenica a seguir messa: è diventato il nostro posto. Noi siamo diventati questo posto.


L’Università che rappresento sente in maniera forte la necessità di prendere parte alla valorizzazione del Cammino dei Cappuccini. Nel 2015 accolsi presso il palazzo Ducale una delegazione del nostro convento di Renacavata e ascoltai con attenzione il racconto di un fratello sugli inizi dell’Ordine, su come vennero accolti dalla duchessa Caterina Cybo, su come assistettero il Duca Giovanni Maria Varano, proprio nella struttura che nel 2015 rappresentava il cuore pulsante e il polmone dell’ateneo. Mentre il fratello mi parlava della loro misericordia, del loro lavoro, sentivo la necessità, non solo di conoscere meglio la loro storia, ma di provare a far sì che le nostre due “istituzioni” insieme potessero fare qualcosa di importante per questo territorio, un territorio che stava già soffrendo, un po’ in abbandono, un po’ ai margini.
“Insieme” era la parola giusta, soprattutto perché l’obiettivo era comune: il ben-essere delle persone che vivevano questa comunità. Invitato dal frate guardiano, visitai il convento qualche giorno dopo e mangiai con loro nel refettorio. Visitai il Museo. Passeggiai nei loro orti. Condividemmo tempo, spazio e idee, pensando ad attività che potessero valorizzare sia il convento che l’ateneo.


Quando qualche mese fa il Ministro provinciale dei Cappuccini marchigiani fra Sergio Lorenzini mi ha invitato ad un incontro per valutare il coinvolgimento dell’Università di Camerino nel progetto di questo cammino, i miei occhi si sono accesi nuovamente, ho capito che era il momento giusto per far diventare realtà quei buoni propositi di qualche anno prima. Il cammino è importante, per ognuno di noi.
Questa parola, “cammino”, non indica un semplice atto motorio, ma contiene in sé tante parole: partenza, arrivo, meta, viaggio, libertà, indipendenza, riscoperta di noi stessi, pace. Il Cammino non sarà solo la destinazione che intenderemo raggiungere, ma anche tutto ciò che incontreremo durante il tragitto, passo dopo passo: paesaggio, arte, cultura, viandanti, animali, piante… infinito. Il Cammino dei Cappuccini sarà un’emozione continua che aiuterà ognuno di noi a crescere come persona, primo obiettivo del nostro ateneo. Valorizzare questo cammino significa perciò valorizzare le persone, valorizzare le nostre studentesse e i nostri studenti, valorizzare il nostro ateneo.


Con una ricostruzione purtroppo ancora agli inizi non sarà facile inserire all’interno del Cammino la visita di quei luoghi fondamentali per comprendere il nostro passato e vivere il presente, pensando al futuro. Ma ci proveremo. Alcune iniziative e percorsi potranno essere comunque inseriti nel Cammino per valorizzare la tradizione culturale e spirituale delle Marche, e in particolare del nostro entroterra, sicuramente parte debole del territorio a causa dei terremoti e dello spopolamento.
Il Cammino potrà essere un’occasione per godere delle tante opere d’arte disseminate lungo le 18 tappe che vanno da Fossombrone a Camerino e poi ad Ascoli, attraversando anche altre città d’arte come San Severino e Fabriano, ma potrà essere anche uno strumento per godere di una natura incontaminata di un ambiente in alcuni casi vicino a quello che i frati toccarono con mano 500 anni fa, dalla Gola del Furlo a Poggio San Romualdo, da Pascelupo a Montefortino, da San Lorenzo al Lago a Montefalcone Appennino, per contemplare il sorgere o il calare del sole, per ascoltare il cinguettio degli uccelli, per bere acqua chiara e fresca ad una sorgente, per sentire profumi dimenticati.


Durante il cammino sarà possibile apprezzare alimenti naturali, di qualità, unici, caratteristici: a Sarnano, a Cingoli, Rotella e Cupramontana, dagli affettati ai formaggi, dai vini ai prodotti della panificazione, dai legumi tipici agli oli sopraffini.
E anche conoscere quei prodotti artigianali o comunque quelle produzioni che hanno fatto grandi le Marche, un territorio dove è nata la carta, dove si sono sviluppate concerie, calzaturifici, dove si sono prodotte infinità di merletti e tessuti, utilizzando anche colori rapiti alla natura con tecniche innovative in città come Fabriano, Cagli e Offida, dove le piccole e medie imprese marchigiane sono cresciute e hanno garantito per anni una buona qualità della vita alle loro popolazioni.
E infine sarà possibile immergersi nella cultura, nella scienza e nella letteratura da Fonte Avellana a Camerino, dove l’Università trecentesca da anni forma alla vita giovani di tutto il mondo e supporta lo sviluppo dei territori, dove si guarda con occhio attento alle esigenze del domani.
Un Cammino, quello cappuccino, che se si intersecherà, relazionerà e condividerà obiettivi con gli altri Cammini che stanno attraversando il Centro Italia, potrà veramente garantire una nuova economia sociale basata sul ben-essere della mente e del corpo di ognuno di noi. •