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Giocare tra fratelli


Per abbattere le separazioni, anziché distruggere muri, a volte è sufficiente avere voglia di aggirarli per incontrare l’umanità che vive dall’altra parte. Dal periodico «Un mondo a quadretti», curato dai detenuti della casa di reclusione di Fossombrone, riceviamo le testimonianze di un simpatico incontro frati-reclusi.
di fra Fabio Chiodi e Rosario Martinelli


Tempo fa, credo intorno all’inizio dell’estate appena trascorsa, mi trovavo al piano terra nei pressi della stanza dove solitamente faccio i colloqui con i detenuti. In quelle occasioni mi capita spesso di scambiare due parole con chi è per caso lì intorno. Quel giorno uno dei ragazzi si ferma e tra una parola e l’altra mi propone, se fosse possibile, di fare una partita di calcetto tra frati e detenuti.
Ora, io non sono un appassionato di calcio e nemmeno un gran giocatore, per cui non mi era mai capitato di organizzare una partita di calcetto in generale, figuriamoci in una casa di reclusione. Tuttavia, ho percepito in quella proposta un desiderio che secondo me avrebbe portato ad una bella occasione di incontro, sia per i detenuti sia per i frati.
Ci sono voluti alcuni mesi, un po’ per chiedere qualche permesso e un po’ per mettere su una squadra di frati cercando di trovare un giorno libero per tutti. Alla fine il 9 novembre abbiamo potuto giocare insieme e vorrei condividere con i lettori cosa mi sono portato a casa da quella giornata.
Prima di tutto la gioia della presenza dei miei fratelli cappuccini all’interno della casa di reclusione: non so quanti di loro fossero mai entrati in una struttura del genere, ma ho colto nella loro disponibilità immediata il desiderio di conoscere e di entrare in relazione con questa realtà.


In secondo luogo, l’ospitalità da parte degli agenti di Polizia Penitenziaria e degli operatori: chiaramente, se abbiamo potuto giocare in questo contesto è perché da parte della casa di reclusione c’è chi ha dato valore a questa proposta.
In ultimo, ma non in ordine di importanza, la partita giocata. Su questo vorrei soffermarmi particolarmente perché è stato un momento che davvero mi sono gustato. Ho notato quanto, nel contesto del gioco, crollino i ruoli e le etichette. In un’ora e mezza sono venute meno le classificazioni attraverso le quali si è guardati, e si è preso contatto con la persona e tutto quello che è: il suo volto, il suo sguardo, il suo carattere, la sua unicità. Il pensiero che mi è venuto è stato che, prima ancora di essere frati o detenuti, prima degli abiti e delle scelte, prima delle pene e dei processi, siamo fratelli, figli amati dello stesso Padre: questa partita mi ha fatto gustare proprio questo. E ringrazio il Signore per questa fantastica occasione.
Chiaramente, data la preparazione degli avversari, la partita è finita in maniera pessima per la mia squadra… abbiamo perso 16 a 2, ci hanno praticamente stracciati! Poco male, perché più che il sapore della sconfitta mi sono portato a casa il gusto di una bella mattinata trascorsa all’insegna della fraternità.
Comunque, il fatto di essere stati battuti miseramente, ci ha motivati, se possibile, a proporre una rivincita, ma dovremo trovare qualche altro calciatore un po’ più in forma di noi… Prima o poi torneremo in campo!
Ringrazio particolarmente Rosario, un ragazzo ospite nella casa di reclusione, per aver organizzato l’evento all’interno della struttura, per aver partecipato alla partita e per essersi reso disponibile a raccontare qui di seguito la sua esperienza.


fra Fabio Chiodi


Il linguaggio universale dello sport


Una giornata diversa, così come “diverse” erano le persone che componevano le due squadre che si sono affrontate il 9 novembre nel nuovo campo di calcetto della casa di reclusione di Fossombrone. Come location un luogo mesto avvolto da sbarre in ferro arrugginito e mura in cemento armato, mentre il cielo cupo e nuvoloso prometteva poco di buono in quella giornata. Non era immaginabile che un semplice incontro sportivo con i rappresentanti dei Frati Cappuccini delle Marche, capitanati da frate Fabio, potesse portare una giornata ricca di momenti positivi e alcune ore di spensieratezza, che si sono prolungati per giorni e via via diffusi in ogni sezione; il prima e il dopo della partita, infatti, sono stati argomento molto discusso dai partecipanti all’evento. C’erano quelli che giocavano e quelli che assistevano, supportando sia i propri amici di detenzione, sia gli “avversari”. È stata una bella esperienza già nel pre-partita, ove ognuno diceva la sua riguardo a quale tattica usare in campo, i cambi da effettuare, le tempistiche, quasi stessimo giocando una partita di Coppa dei Campioni (Champions League, per i moderni lettori); anche per rifarci dell’esito dello scorso anno che aveva visto prevalere di misura un’altra compagine ecclesiastica. E così, carichi di aspettative, dall’uscio che porta sui passeggi, voltavamo sulla sinistra ed entravamo in campo suddivisi in piccoli gruppetti: secondo piano, primo piano, piano terra (dove sono alloggiato io). Ogni sezione aveva i suoi partecipanti in tenuta gialla. I saluti tra piani, le ultime tattiche proposte in modo fugace e quasi bisbigliate, come se qualcuno le potesse ascoltare. Quando ad un tratto sono arrivate in completo blu delle sagome, che man mano si avvicinavano, per poi varcare la porta della rotonda (luogo principale dell’istituto) e scendere per la rampa liscia, appena aperto il cancelletto del campo, sono partiti i primi applausi da chi era già sul terreno di gioco, reclusi giocatori e spettatori insieme. Tra i primi scambi di saluti noto il sorriso cordiale dei frati, e dei vari educatori e operatori che erano nei pressi del campetto, in particolare Giorgio che era l’unico non giocatore presente all’interno, oltre all’arbitro.

Dopo tutta questa accoglienza calorosa e rilassata, molto diversa da quella dei cosiddetti giocatori professionisti della nostra serie A, si inizia a giocare e in quello stesso istante accade un altro prodigio! I frati che, a prima vista, ci erano apparsi così mansueti e cordiali, partono forte tirando fuori un agonismo che fa invidia agli atleti olimpionici: corrono, si dimenano e accendono la partita: sembrano quasi invertiti i ruoli (perlomeno quelli di una presunta teoria non scientifica che pretende di stabilire i ruoli di ognuno, mentre ogni uomo è “Uno, nessuno, centomila”). Così la partita è iniziata con un certo equilibrio, che ha molto divertito e reso la gara ancora più impegnativa e quindi stimolante. Sensazioni positive che hanno reso anche la leggera pioggia un qualcosa di piacevole. La partita si è conclusa con la squadra Gialla, che definirei gli A.C.I.R.I.C. (Amicus certus in re incerta cernitur), che ha prevalso nettamente sulla squadra Blu dei Frati a Nuje (non cercate nelle locuzioni latine, bensì in quelle napoletane). In realtà, vincitori per davvero lo siamo stati tutti, poiché ha vinto il senso di uguaglianza, quello che ti fa considerare ogni persona un essere umano. Vedere un frate che mi scalciava o sgomitava su ogni pallone non mi provocava frustrazione ma un sorriso, perché era quello l’atteggiamento che speravo di trovare, anche se non ne ero certo; un atteggiamento di serenità, essere trattato come una qualsiasi persona al di fuori, essere visto per quello che sono e non per quello che sconto. E son certo che c’è chi ha recepito le stesse mie sensazioni. Spero di poter rivivere di nuovo delle giornate simili che donano momenti di spensieratezza e diventano anche un momento di coesione con persone che arrivano dall’esterno; ed è molto piacevole verificare che il loro impatto non è negativo nei nostri confronti. Ringrazio fra Fabio che si è adoperato per allestire una squadra valida e solida; ringrazio anche i suoi confratelli e colgo l’occasione per rilanciare una secondo incontro – non certo una rivincita – perché in questo match, seppur con risultati diversi, abbiamo vinto tutti!!! Ringrazio anche i miei compagni che hanno partecipato da giocatori o spettatori: chi da dietro una finestra e chi solo commentando in sezione. Abbiamo passato dei momenti di leggerezza che portano buon umore, ed infine ringrazio il volontario Giorgio Magnanelli che, come sempre, ha mostrato la sua vicinanza essendo presente all’interno del campetto. Concludo invitando chiunque dall’esterno voglia, a partecipare e a riempire queste giornate di tali eventi, e perché no – come fanno nel rugby –, con un terzo tempo dove a fine partita si consuma tutti assieme qualche pietanza, magari preparata da noi. Tutto questo regalerebbe dei bei momenti che svuotano le celle e riempiono il cuore.


Rosario Martinelli •