Partendo dal suo dolore, dalla morte della sua amata, Dante attraversa le selve oscure di ogni giorno, fino ad arrivare dinanzi all’ultima Salvezza. Di questo racconta la Divina Commedia, e di questo, lo scorso 7 giugno, presso il convento dei Cappuccini di Civitanova, ha parlato il poeta e scrittore Davide Rondoni.
Intervista di Giuseppe Lepretti.
“E io che sono?”: questo è il grido al cielo della nostra intera cultura. Questa è, io immagino, la domanda che più o meno 700 anni fa un ragazzo di Firenze ha innalzato a stelle dormienti mentre la sua amata, improvvisamente, moriva. E per lei, e per tutti noi, poi, ha iniziato quel terribile e immenso viaggio che è oggi la Commedia.
Guardare negli occhi Dante, fissare magari nei meravigliosi disegni di Gabriele Dell’Otto le “tristi” e beate immagini della Divina Commedia, avere questa materia incandescente tra le mani, sono cure contro il rischio di impoverimento dell’idea e dell’esperienza della cosa che noi chiamiamo “io”.

Dante ha creato e raccontato personaggi che sono divenuti parte del nostro panorama interiore. Essi hanno dato – e danno – figura e rilievo a questioni che ci riguardano e tormentano. Ad esempio, tutti siamo Ulisse, pronti al folle volo. Perché, se vivi realmente, le colonne d’Ercole sono dietro gli angoli di ogni giorno.
Dante, più di ogni politico, magistrato o medico, parla ancora a noi oggi perché rappresenta la nostra inquietudine, il nostro sperdimento. Il grande teatro della Commedia è animato da un quesito fondamentale: “Esiste o no la possibilità della Giustizia, della Salvezza?”.
Sembrano gridarlo, in coro, tutte le vite spiritali una ad una incontrate nel provvidenziale viaggio.
Prima di entrare nel vivo di questa conversazione e di questo viaggio con Davide Rondoni, permettetemi di appoggiarmi ad alcune citazioni iniziali.
La prima è di Ezio Raimondi il quale, con la sua opera, la sua critica e la sua vita ha insegnato ad amare la letteratura a tanti. Raimondi disse che “ascoltare la poesia significa sempre ascoltare una voce altra e diversa da tutte le altre voci. Non migliore o peggiore, ma altra. Quindi richiede un ascolto diverso da qualsiasi altro tipo di ascolto. Un ascolto che è più rischioso perché, seguendo la parola della poesia, non si sa dove si va a finire. Si comincia un viaggio e non si sa dove si va”.
Ecco: per compiere questo viaggio nella vita e nella poesia, è necessario cercare e trovare dei grandi lettori – dei maestri – che ci possano guidare sulle tracce dei grandi capolavori della letteratura. Perché attraverso l’arte e la letteratura l’uomo riesce a mettere a fuoco la vita. La letteratura in fondo è questo: attraverso l’invenzione di storie, storie di teatro, attraverso la tessitura di poesia e facendo arte in generale, emerge il vero volto che è al fondo di noi.
Una seconda citazione: Mario Luzi ha osservato che la forza della poesia di Dante sta nel nascere da una “immedesimazione”. Non c’è mai alcuna distanza tra il Poeta e la sua materia, la sua esperienza. Dante, come rileva Davide Rondoni, scrive la Commedia perché prende sul serio le proprie esperienze. Dante è uno che ha passato un pericolo e si sta mettendo in salvo. L’uomo-Dante fa questo viaggio dentro la sua esperienza e ritiene che essa possa essere utile a quella di tutti gli uomini.
Come specificato nell’Epistola a Cangrande, la Commedia è scritta “per rimuovere quelli che in questa vita sono in stato di miseria e condurli allo stato di felicità”.

Inizia così il nostro volo verso la fine. Dante e Virgilio arrivano alla Giudecca, l’ultima zona del Cocito, dove i dannati sono immersi nel ghiaccio. Qui vedono Lucifero che mastica con le sue tre bocche: Bruto, Cassio e Giuda. Quindi discendono lungo il corpo del principe dei diavoli fino al centro esatto della Terra, e da qui iniziano la risalita verso l’emisfero opposto ed escono a riveder le stelle.
Siamo al termine del percorso, siamo entrati all’Inferno e dall’Inferno bisogna uscire. Questo è il messaggio di tutta la Cantica e di tutta la Commedia: il male non è l’ultima parola. Proprio alla fine del viaggio infernale, di fronte a Satana, là dove tutto il male del mondo e della storia sembra convergere, troviamo confermata una parola di speranza.
è l’inizio di un possibile percorso di bene, come ci era stato anticipato nel Canto I. Dopo tutto il male e il tremendo viaggio, Dante, finalmente ritorna a “le cose belle / che porta ‘l ciel”.
Per comprendere meglio questo viaggio poniamo alcune domande su Dante ad uno dei più importanti autori contemporanei, Davide Rondoni. Penso che la sua parola sia la più pericolosa e fertile del nostro tempo.

Anzitutto, preferisci essere dantesco o dantista?
Dantesco. Non ho la competenza per essere un dantista in senso tecnico. Ho studiato e letto Dante e scritto su di lui, ma non sono uno specialista tanto da sentirmi o definirmi dantista. Poi preferisco avere un rapporto più vitale, che professionale, con lui e con tutta la letteratura.
Oggi cosa può dire l’esperienza della Commedia ai giovani?
Da un lato quello che ha sempre detto: che la vita è un viaggio. E bisogna cercare il senso ultimo di questo viaggio, pena il rimanere insoddisfatti e ultimamente tristi. Oggi, in particolare, credo che un elemento dei tanti che si possono dire, attuale ed urgente, è che Dante, che ha iniziato a scrivere la Commedia a poco più di vent’anni, dimostra che la giovinezza e la sua energia è data per impegnarsi in una grande costruzione.
Una costruzione che non è appena la costruzione di sé stessi – nel senso individualistico del termine – ma è la dedizione a qualcosa di grande che possa, come diceva lui, aiutare a trarre via dall’infelicità anche gli altri.
Secondo te qual è il personaggio della Commedia più rappresentativo della mentalità del nostro tempo? Ce ne sono tanti perché Dante ha immortalato, in figure e profili, questioni che sono attuali oggi come allora. Una certa umanità come Bonconte da Montefeltro (che potrebbe essere l’Umberto Eco dei nostri giorni). La fama per la fama. La tentazione del potere. La tendenza a seminare discordia invece che ammonire. La tensione ad affermare sempre sé stessi. Queste cose sono attuali ieri come oggi e in tanti personaggi.
Così come, di pari passo, dall’altra parte, la profondità del cuore umano che desidera la misericordia di Dio, fino all’ultimo momento, messo in luce da Cacciaguida. Dante non crea un personaggio più attuale di altri, per questo si continua a leggere e commentare.

Quale personaggio della Commedia, invece, vorresti che i giovani prendessero come esempio?
La letteratura non è fatta per dare esempi. La cosa migliore è seguire Dante.
Qual è il profondo mistero della Preghiera alla Vergine? Il mistero sta nel fatto che è una preghiera piena di dolcezza e tensione: un uomo che chiede alla Madonna di intercedere per l’ultima salute. È il momento in cui Dante sta chiedendo di fare l’ultimo passo verso la conoscenza del Destino e verso l’ultima salute. In quel meraviglioso testo pone, in maniera quasi scandalosa e meravigliosa, gli ultimi tre versi che dedica in tutta la sua vita alla donna per cui ha scritto tutto, Beatrice: “Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei preghi ti chiudon le mani.”
Ricorrente è il tema della Giustizia. Eliot diceva che, sopra tutte, emergono due qualità in Dante: la tenerezza e il rigore. In che modo per te Dante è giusto?
Dante riconosce che la Giustizia ultima non è nelle mani dell’uomo. In più punti della Commedia irride la presunzione dei Papi che vorrebbero decidere cosa succede dopo.
È un grande inno alla libertà di coscienza, per questo Dante è un giusto; ed è giusto anche nel fatto che riconosce che c’è un potere sopra tutti i poteri. Questo lo rende libero, perché non si può essere giusti senza libertà, ma la libertà viene da questo. Ciò non significa, come si vede bene nella Commedia, non riconoscere errori, torti, ecc…, ma significa – come si vede in alcuni punti – un ultimo affidamento ad una giustizia più grande di come noi la possiamo immaginare. Come vediamo normalmente, anche nella più scrupolosa ricerca degli elementi per fare giustizia intorno ad una vicenda, c’è sempre qualcosa che ci sfugge. •