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Chiesa, cosa dici di te stessa?

Nelle “chiese di pietra” l’autoritratto della “Chiesa di carne”. I vari elementi architettonici dei nostri luoghi di culto hanno sempre avuto un valore fortemente simbolico, oltreché artistico, di richiamo alla realtà viva costituita dalla comunità dei battezzati.
di fra Giuseppe Settembri


“Chiesa, che cosa dici di te stessa?”: credo che questa domanda, pronunciata dal card. Suenens il 4 dicembre 1962 durante il Concilio Vaticano II, sia sempre attuale, poiché la Chiesa, cioè la comunità cristiana di cui tutti noi battezzati facciamo parte, ha costantemente bisogno di autocomprendersi e di presentarsi al mondo con un linguaggio nuovo. In ogni epoca la Chiesa ha lasciato impressa la sua identità nelle chiese, cioè negli edifici che non a caso portano lo stesso nome della comunità che ivi si riunisce per celebrare e pregare. Osservando una chiesa di un determinato periodo storico, si può intuire la concezione di Chiesa, la liturgia e la spiritualità di quel tempo. Per questo, la chiesa-edificio può essere considerata come «la tela su cui la chiesa vivente dipinge il suo autoritratto», come diceva R. Giles.
Partendo da questa “vocazione” della chiesa-edificio, viene spontaneo chiedersi: “Quale immagine di Chiesa vivente possiamo vedere nelle chiese di oggi?”. Siccome una singola chiesa contemporanea difficilmente riesce ad esprimere in modo adeguato tutto il mistero della Chiesa che si rende visibile nell’assemblea liturgica, occorre ripartire dalle riflessioni del Concilio Vaticano II per poi vedere come il mistero della Chiesa si trova impresso parte in una chiesa e parte in un’altra.
Per entrare nella comprensione del mistero della Chiesa nella prospettiva del Vaticano II, possiamo iniziare dal n. 1 della costituzione conciliare Lumen gentium (21 novembre 1964) dove si afferma che «la Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». A partire da questo numero, la Chiesa può essere sinteticamente definita «mistero/sacramento di comunione», cioè segno e strumento di una duplice comunione: una comunione “verticale” (comunione con Dio-Trinità) e una comunione “orizzontale” (comunione tra le persone). Questa duplice comunione, che inizia su questa terra, avrà il suo compimento nel cielo.


La bellezza della Chiesa è tutta riassunta in questo, cioè nell’essere una comunione di persone che ha la sua sorgente in Dio-Trinità, è strutturata ad immagine e somiglianza della comunione trinitaria, e cammina verso la Trinità nel suo pellegrinaggio terreno. Per parlare della Chiesa, la Lumen gentium usa diverse immagini (cfr. LG 6-7), tra le quali si desidera ricordare, soprattutto a motivo dell’esplicito riferimento trinitario, quelle di “Popolo di Dio”, “Corpo e Sposa di Cristo”, “Tempio dello Spirito Santo” e poi quella di “Gerusalemme celeste” che sottolinea la tensione tra il “già” e il “non ancora” della comunione ecclesiale.
Come le chiese-edificio si collocano in questo discorso teologico? Le chiese-edificio, in quanto segni della Chiesa terrestre e immagini della Chiesa celeste, sono chiamate a manifestare attraverso l’arte e i vari elementi architettonici questa identità della “Chiesa della Trinità”, affinché credenti e non credenti oggi possano essere attratti dalla bellezza della comunione trinitaria, l’unica vera bellezza che affascina, dà senso e sapore a tutta la vita dell’uomo creato da Dio per vivere come Lui, cioè nella comunione.

Grassobbio


Come concretamente la chiesa-edificio manifesta la bellezza della Chiesa-comunione di persone incamminate verso una comunione sempre più profonda? È ciò che si tenterà di dire in modo essenziale attraverso questa serie di articoli. In questo primo contributo si fa accenno ad alcuni aspetti generali della chiesa-edificio che manifestano il mistero della Chiesa come comunione verticale con Dio e comunione orizzontale tra i fedeli: la luce, le pareti della chiesa e le loro immagini.
La luce nella chiesa manifesta la comunione tra Dio e il suo popolo: “Dio è luce” (1Gv 1,5) e i fedeli battezzati sono gli “illuminati” (cfr. Ef 5,8), che possono trasmettere la luce al mondo solo se prima l’hanno ricevuta da Cristo. La chiesa è la “casa della luce”. Entrare in chiesa significa per il Popolo di Dio uscire dalle tenebre ed entrare nella luce: “Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Ef 5,8). Nello spazio liturgico viene manifestata la vittoria della luce sull’oscurità. L’illuminazione dei principali spazi celebrativi verso i quali si orienta l’assemblea nei diversi momenti della liturgia – il fonte battesimale, l’altare e l’ambone, rispetto ai quali l’assemblea rimane in leggera penombra – evidenzia l’origine divina della luce, della vita nuova, della comunione ecclesiale. La luce nella chiesa evoca anche luce dell’Agnello-Sposo che risplende nella Gerusalemme celeste, verso la quale tendiamo come pellegrini. Attraversare longitudinalmente gli spazi della chiesa muovendosi dalla porta all’abside significa camminare nella luce e protesi verso la luce del giorno senza tramonto. Il percorso orientato verso la luce che proviene dalle finestre dell’abside esprime il cammino della Chiesa-Sposa per incontrare Cristo-Sposo nella Gerusalemme celeste dove l’unica lampada è l’Agnello. Il soffitto illuminato e la luce proveniente dall’alto sono un invito ad elevare lo sguardo verso la sorgente divina della luce e a sentirsi già nella luce della Gerusalemme celeste.
Le pareti della chiesa sono come una “tela” su cui la Chiesa dipinge il suo “autoritratto”, in modo particolare attraverso le immagini (mosaici, affreschi, pitture, bassorilievi, icone), le quali sono ordinate secondo un programma iconografico che prolunga e descrive il mistero celebrato in relazione alla storia della salvezza e all’assemblea. Sulle pareti della navata si può vedere rappresentata la storia della salvezza orientata al mistero pasquale di Cristo. Oppure, ci possono essere pareti con pietre a vista che richiamano le diverse “pietre vive” (i fedeli) impiegate per la costruzione della Gerusalemme celeste. L’abside, con la sua forma concava in segno di accoglienza, è figura del cielo, della Chiesa celeste che accoglie l’assemblea terrestre. Il catino absidale rappresenta il grembo del Padre, dove sta il Figlio, che è rivelazione del Padre (cfr. Gv 1,18); l’esedra è simbolo della Chiesa celeste alla quale la Chiesa pellegrina sulla terra si unisce nella liturgia. Il pavimento, in cui può essere raffigurata la storia della salvezza e dove sono segnalati i percorsi liturgici attraverso cui tale storia viene resa presente, richiama la dignità sacerdotale e regale del Popolo di Dio pellegrino sulla terra. Anticamente i pavimenti erano elaborati così da apparire come dei tappeti: basti pensare a quelli d’epoca bizantina, oppure i cosiddetti pavimenti “cosmateschi”. Oltre ai tappeti, nei pavimenti antichi si potevano trovare anche i “labirinti”, i quali significavano il pellegrinaggio della vita umana, con le sue più svariate vicissitudini, dalla nascita alla morte, un pellegrinaggio verso la patria celeste sostenuto dalla grazia divina. Il soffitto nelle sue diverse forme e con la sua eleganza evoca la Chiesa celeste, il paradiso, dove l’assemblea terrestre ha il suo Signore-Sposo e la sua dimora eterna. Elemento particolare del soffitto è la cupola, che è immagine del cielo sopra la terra. Essa, ospitando la raffigurazione del Pantocrator o dell’Ascensione o della Pentecoste, esprime il duplice movimento di discesa-ascesa che accade in ogni liturgia: la discesa di Dio in Cristo verso l’uomo e l’ascesa dell’uomo in Cristo verso il cielo. La proiezione della cupola sul pavimento, chiamata “onfalo” – uno spazio vuoto segnalato in diversi modi (un cerchio, una croce, ecc.) – costituisce il luogo di comunione per eccellenza tra cielo e terra, il «baricentro» della chiesa, poiché in esso convergono tutte le linee dell’edificio (l’asse est-ovest, l’asse sud-nord, la direttrice zenit-nadir). Infine, per ricordare ai fedeli che l’edificio ecclesiale è immagine della Gerusalemme celeste (cfr. Premesse al Rito della Dedicazione della chiesa e dell’altare, n. 42a), sulle pareti della chiesa, in corrispondenza con il luogo delle unzioni fatte dal vescovo durante il rito della dedicazione della chiesa, sono collocate dodici o quattro croci di pietra, o di bronzo, o di altra materia adatta, con relativi candelieri e candele.
Ricordando l’antico principio di vita spirituale secondo cui si diventa ciò che si contempla, si può concludere augurando a tutti di poter contemplare la bellezza di una chiesa per diventare sempre più una Chiesa bella, attraente, la Chiesa “sacramento della comunione trinitaria”.

Cattedrale Otranto pavimento musivo