Skip to content Skip to footer

C’è ancora bisogno di un Salvatore?


Quando uno scienziato vuole tirare conclusioni filosofiche dalle sue analisi scientifiche, i risultati non sembrano migliori di quando i filosofi pretendevano tirare conclusioni scientifiche dalle loro analisi filosofiche.
di fra Raniero cardinale Cantalamessa


Nei confronti della fede in Cristo, per molti aspetti, noi siamo tornati alla situazione delle origini e dobbiamo imparare da allora come rievangelizzare un mondo ridivenuto in gran parte pagano. Occorre porci tre domande: che idea si ha oggi dell’uomo e del suo male? Quale tipo di salvezza è necessaria per un tale uomo? Come annunciare il Cristo in modo che risponda a tali attese di salvezza?
Semplificando al massimo, possiamo individuare intorno a noi due grandi posizioni nei confronti della salvezza, al di fuori della fede cristiana: quella delle religioni e quella della scienza.
Per le cosiddette nuove religioni, di cui è un esempio tipico il movimento New Age, la salvezza non viene dal di fuori, ma è potenzialmente nell’uomo stesso; consiste nell’entrare in sintonia, o in vibrazione, con l’energia e la vita di tutto il cosmo. Non c’è bisogno dunque di un salvatore, ma semmai di maestri e guru che insegnino la via dell’autorealizzazione. Non mi soffermo su questa posizione perché essa è stata confutata una volta per tutte dall’affermazione di Paolo: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù» (Rm 3,23-24).


Riflettiamo invece sulla sfida che viene alla fede dalla scienza non credente. La versione oggi più in voga dell’ateismo è quella cosiddetta scientifica, che il biologo francese Jacques Monod ha reso popolare con il suo libro Il caso e la necessità. “L’antica alleanza è infranta – sono le conclusioni dell’autore – e l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. Il nostro numero è uscito dalla roulette”.
In questa visione, il problema della salvezza non si pone neppure; esso è un residuo di quella mentalità “animistica” (così la chiama Monod) che pretende di vedere scopi e traguardi in un universo che avanza invece al buio, retto solo dal caso e dalla necessità. L’unica salvezza è quella offerta dalla scienza e consiste nella conoscenza di come stanno le cose, senza illusioni autoconsolatorie. “Le società moderne – scrive – sono costruite sulla scienza. Le devono la loro ricchezza, la loro potenza e la certezza che ricchezze e potenze ancora maggiori saranno in un domani accessibili all’uomo, se egli lo vorrà […]. Provviste di ogni potere, dotate di tutte le ricchezze che la scienza offre loro, le nostre società tentano ancora di vivere e di insegnare sistemi di valori, già minati alla base da questa stessa scienza”.


Il mio intento non è di discutere queste teorie, ma solo dare un’idea del contesto culturale in cui siamo chiamati oggi ad annunciare la salvezza di Cristo. Un’osservazione però dobbiamo farla. Ammettiamo pure che il nostro numero sia uscito dalla roulette, che la vita sia il risultato di una casuale combinazione di elementi inanimati. Ma per estrarre dei numeri dalla roulette, bisogna che qualcuno ve li abbia messi. Chi ha fornito al caso gli ingredienti con cui lavorare? È una osservazione vecchia e banale, ma alla quale nessuno scienziato ha finora saputo dare una risposta, eccetto quella sbrigativa che la questione per lui non si pone.
Una cosa è certa e incontrovertibile: l’esistenza dell’universo e dell’uomo non si spiega da sola. Possiamo rinunciare a cercare una spiegazione ulteriore oltre quella che è in grado di dare la scienza, ma non dire di aver spiegato già tutto, senza l’ipotesi di Dio. Il caso spiega, al massimo, il come, non il che dell’universo. Spiega che esso è così com’è, non il fatto stesso che esso ci sia. La scienza non credente non elimina il mistero, solo gli cambia nome: anziché Dio, lo chiama caso.
La smentita più significativa alle tesi di Monod credo sia venuta proprio da quella scienza alla quale l’umanità, secondo lui, dovrebbe affidare ormai il proprio destino. Sono gli stessi scienziati, infatti, a riconoscere oggi che la scienza non è in grado di rispondere da sola a tutti gli interrogativi circa l’universo e a tutti i bisogni dell’uomo, e sono essi a cercare il dialogo con quei “sistemi di valori” che Monod considera antagonisti irriducibili della scienza, e cioè la filosofia e la religione. Lo vediamo, del resto, con i nostri stessi occhi: ai successi straordinari della scienza e della tecnica non tiene dietro necessariamente una convivenza umana più libera e pacifica sul nostro pianeta. •