di fra Sergio Lorenzini
Non è facile mettere d’accordo la carne e lo Spirito: sono due pugili sul ring che cercano di abbattersi, e se per un momento si abbracciano è solo per darsi un attimo di respiro e non incassare colpi. «La carne – dirà san Paolo nella Lettera ai Galati – ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda» (Gal 5,17) e non c’è via di conciliazione. Tuttavia, rischiamo di non capire realmente cosa ci dice l’Apostolo delle genti se identifichiamo la carne con il corpo e lo Spirito con un non so che di immateriale. La lotta non è tra il corpo e l’anima, come ancora siamo tentati di credere a causa di fuorvianti infiltrazioni entrate nella tradizione cristiana, ma tra due principi vitali, buono l’uno, cattivo l’altro, che governano in modo inverso e l’anima e il corpo.
C’è un principio vitale spirituale e un principio carnale, che in realtà non è vitale ma mortale, i quali guerreggiano per colonizzare il cuore dell’uomo e prenderne il possesso. Quando comanda il principio carnale, l’uomo, in tutto ciò che è e che ha, è spinto a vivere per affermare se stesso e vive il rapporto con gli altri in funzione di sé. È, sempre per usare una terminologia paolina, l’«uomo vecchio», che vive nel peccato, ripiegato su di sé e che piega gli altri a sé. Quando è lo Spirito di Dio a prendere possesso dell’uomo, egli viene liberato dalle catene del peccato, fa di sé un dono gratuito e l’altro diventa il centro della sua attenzione. Egli vive di carità, sbilanciato dalla spinta dell’amore verso il suo prossimo.
Lo Spirito di Dio espropria l’uomo dalla schiavitù dell’io e lo rende «uomo nuovo, ad immagine di Colui che lo ha creato» (Col 3,10). Nello Spirito l’uomo è rinnovato e unificato in tutte le sue dimensioni, spirituali, psichiche e corporee, dall’amore di Dio. Esso plasma e ricompatta l’uomo intorno a un centro di vita nuova che sgorga come sorgente dal suo cuore e comunica uno splendore che è la luminosità della grazia. Allora l’uomo in tutto ciò che vive è animato e santificato dall’amore ed esso si rende manifesto nei gesti più ordinari e apparentemente banali della vita. Ecco perché sant’Agostino scrisse che «chi non è spirituale nella sua carne diviene carnale anche nel suo spirito» e la poetessa russa Marina Ivanovna Cvetaeva, facendogli eco, disse che «l’anima, che per l’uomo comune è il vertice della spiritualità, per l’uomo spirituale è quasi carne». È nella carne di ogni giorno, nel quotidiano dettaglio delle piccole cose ordinarie, che lo Spirito di Dio chiede di entrare per farne dei segni d’amore.
A Natale celebriamo con stupore incontenibile il Dio che nel bambino di Betlemme si fa uno di noi. Egli entra nel mondo che ha creato e da che «il Verbo si fece carne» non c’è più carne che non sia veicolo dello Spirito. Non più, dunque, la fuga dal corpo, ma la carne come manifestazione dello Spirito, il segno visibile di una realtà invisibile, vale a dire un sacramento. Buon Natale!