Camminare è il ritmo dell’uomo. Un’andatura in cui il tempo, liberato dalle strozzature della fretta, si decomprime per risvegliare il cuore all’accoglienza di ciò che lo circonda. Negli ultimi decenni, camminare è stato perlopiù un imperativo medico per rimediare alla sedentarietà ipernutrita dei nostri tempi, o un allenamento sempre più performante dentro un clima agonistico. Eppure, se i tempi recenti segnano una crescente riscoperta dei cammini e del cosiddetto turismo lento, forse la ragione va cercata più in profondità, in una sorta di reazione istintiva ai mali di oggi.
Proviamo a scavare un po’ più a fondo e domandiamoci: cosa affligge l’uomo odierno? Lo riassumerei in quattro grandi motivi: eccessiva velocità, prigionia tecnologica, intimo isolamento e perdita del senso. Da ciascuno di essi discende una serie di altre conseguenze deleterie per la persona. Dal primo motivo vengono quel senso di frenesia che accompagna ogni singola azione – come se tutto quello che facciamo dovesse essere fatto nel più breve tempo possibile, altrimenti si affaccia il senso di colpa! –, e lo stress schiacciante che l’imposizione di questo ritmo disumano provoca. Dal secondo deriva il distacco dalla natura, l’atrofia dei sensi, il disincanto di fronte al mondo, l’assenza di un sano piacere per mancanza di condizioni atte a gustare la bellezza di un panorama, di un profumo, di un suono, di un sapore, o del toccare ed esplorare il mondo con le mani, come facevamo da bambini. Il terzo motivo ci ricorda che la moltiplicazione di relazioni superficiali non supplisce al desiderio di condivisione profonda: nelle relazioni la quantità non sostituisce la qualità e la persona dalle mille relazioni si ritrova sola nell’intimo, con un malinconico senso di solitudine che non sa colmare. Da ultimo, l’uomo di oggi procede ma non cammina, si muove ma senza meta, avanza privo di un perché. L’orizzonte che dà senso alla vita e conferisce la motivazione ad ogni passo è dissolto. Procediamo disorientati. Per dirla con le parole di Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui la protagonista domanda al Gatto: “Vorresti dirmi per dove debbo andare?”. – “Dipende molto dal luogo dove vuoi andare”, rispose il Gatto. – “Poco m’importa dove…”, disse Alice. – “Allora importa poco sapere per dove devi andare”, soggiunse il Gatto.
Forse è per questo che oggi l’uomo sta riprendendo a camminare: per la nostalgia di una bellezza che non trova più; per il desiderio di non subire il tempo, ma di abitarlo e di assaporare lentamente ciò che vive; per la gioia di ridestare i sensi e di ritrovare lo stupore dinanzi al mondo; per condividere nell’amicizia e per dare un senso alle cose. In tal senso, il cammino è una terapia integrale che ricentra l’uomo sull’essenziale e gli restituisce una gioia semplice e pura. Chi diventa pellegrino si ritrova più felice, comprende che più si è leggeri meglio si cammina, e che la gioia è fatta di poche cose, quelle giuste. E allora… buon cammino, pellegrino!